Tra i due litiganti il terzo soffre
Al di là delle “discussioni da bar” e delle facili opinioni su internet, ho trovato estremamente curioso, passatemi il termine, valutare le questioni del movimento dei forconi/forza d’urto semplicemente da ciò che scrive Repubblica, il popolo viola ecc. ecc. Si tratta di un “movimento” che nasce proprio davanti ai nostri occhi, all’interno della nostra realtà quotidiana, ma nonostante ciò internet, croce e delizia del nostro millennio, ci tiene con il culo alla poltrona “nerdizzandoci” tutti.
Durante i giorni della mobilitazione ho visto gente emulare questo o quest’altro VIP televisivo. Chi ha interpretato il disfattista senza se e senza ma e chi si è scoperto improvvisamente regionalista indipendentista (la classica moda dell’antipolitica in salsa siciliana contornata da un occulto senso di mafia).
Questo movimento è mosso da rabbia condivisibile e da una situazione che, dopo l’ennesimo ritocco neoclassico e neomercantile del governo “tecnico”, rischia realmente di proletarizzare una buona fetta di lavoratori. E’ in atto un forte scollamento tra il vecchio sistema di potere Berlusconiano, che in Sicilia è radicato tantissimo, e quello attuale. Se vi è una continuità politica tra il vecchio governo Berlusconi e il nuovo governo Monti a cui i partiti sono stati “costretti” a dare fiducia, per le basi dei partiti non si può dire la stessa cosa. In questo momento sarebbe ingenuo pensare che l’organizzazione e la capillarità dell’evento sia nata esclusivamente dall’emotività e dallo spontaneismo dei lavoratori. Troppa organizzazione dietro. Li abbiamo incontrati mesi fa a Partinico in occasione di una manifestazione di solidarietà a Pino Maniaci, che rischiava e rischia di restare isolato e quindi bersaglio della mafia. Era l’estate del 2011, eravamo ancora sotto il governo Berlusconi e le contestazioni del movimento non andarono oltre dei timidi urli. Con l’avvento del governo criminale di Monti improvvisamente la protesta esplode e la Sicilia viene spaccata in due. Nella zona ovest la protesta è blanda, qualche blocco a Palermo, Salemi, Piana degli Albanesi e in qualche altra località, i lavoratori sono più o meno tranquilli. L’est Sicilia diviene ostaggio della parte più dura e a tratti anche violenta di questo movimento. Abbiamo avuto tanti contatti con dei compagni che in questi giorni li hanno incontrati per capire e provare a instaurare un contatto, una forma di dialogo per condividere alcune parole d’ordine. I risultati non sono stati buoni.
Il primo dato che salta fuori è quello del problema mafia. Essa sicuramente non è contraria all’attuale movimento. Quest’ultimo è stato addirittura paragonato al movimento dei Fasci siciliani di fine ‘800 che ha visto tra le sue fila tanti morti ammazzati per mano mafiosa ma nonostante sia stato il primo movimento di classe contro la mafia anche in esso ci sono stati episodi di infiltrazione mafiosa. Menzioniamo il fascio di Bisacquino e Chiusa Sclafani dove figuravano dirigenti come Nicolò Chiara, Nunzio Giaimo e Vito Cascio Ferro, destinato a diventare uno dei capi mafia più noti. Addirittura ci sono degli studiosi che asseriscono che socialismo e mafia insistono sui medesimi gruppi sociali che, pur proponendo ad essi due modelli diversi di mobilità, creano una compresenza, in una stessa zona, di un elevato tasso di mobilitazione politica e di mobilitazione mafiosa che non è più risolvibile nella logica oppositiva dell’azione e della reazione. Altri hanno impropriamente paragonato la mafiosità di alcuni manifestanti alla determinazione e all’emancipazione operaia degli anni 70.
Mi piacerebbe approfondire il passaggio rispetto alla mafia e cioè come le classi dirigenti si servano delle masse per i loro scopi, di come la borghesia mafiosa si serva anche delle contestazioni per conservare e riprodurre il proprio dominio e tenere in uno stato di subalternità i lavoratori. La mafia era ed è un fenomeno interclassista: ci sono capi e gregari, dirigenti ed esecutori. Essa non è espressione del sottosviluppo, come erroneamente viene tacciata dai media che fanno riferimento a personaggi feroci ed analfabeti come Riina. E’ esattamente il contrario. Per giudicare il segno di classe si deve badare agli interessi che essa esprime e consolida, la mafia come “borghesia” significa che all’interno di una generica mafia a composizione interclassista, gli interessi prevalenti che giustificano l’esistenza stessa della mafia, sono gli interessi dello strato borghese, del gabellotto nel latifondo siciliano prima e dell’imprenditore mafioso adesso. Essa è la strategia vincente delle classi dirigenti e per affermarsi si servono soprattutto di strati subalterni per l’enorme manovalanza. La mafia come tutti sappiamo è dentro lo stato. Dietro lo stato ci sono le classi e le classi non sono il prodotto meccanico dei rapporti di produzione, sono qualcosa di molto più complesso e in questo quadro va cercato di risolvere l’intreccio parassitismo – produttività, accumulazione legale – accumulazione illegale. Da questo intreccio deriva l’organico inserimento della borghesia mafiosa nel blocco dominante italiano. La funzione di polizia antiproletaria, antisindacale, antioperaia esercitata dalla mafia nel latifondo e nell’impresa è da vedere come garanzia dell’accumulazione capitalistica nel suo complesso. Tale modello fondato sulla violenza e sull’intimidazione, garantisce l’accumulazione e il controllo sulle grandi masse.
Detto questo potremmo cominciare a pensare con malizia e fare delle ipotesi assolutamente legittime. Come mai il cosiddetto movimento, se è davvero svincolato da qualsiasi tipo di malandrinaggio mafioso ed ha creato circa 500 milioni di euro di danni all’economia locale, fino ad ora non ha subito attacchi e/o intimidazioni di stampo mafioso? La cosiddetta rivoluzione dei forconi, che qualcuno ha definito un movimento antiglobalizzazione, contro la crisi globale e bla bla bla, potrebbe rischiare di estinguersi rapidamente con un’accordo di categoria? Ed i famosi fondi europei a cui molti padroncini aspirano, pur non rivendicandoli sulla carta e necessari ed indispensabili all’organizzazione di cosa nostra per poter svolgere il proprio ruolo parassitario e di distributore di ricchezza per decidere chi far mangia e chi no, sono l’obiettivo primario? Il movimento è fortissimo nell’est Sicilia, e visto che in questi giorni Lombardo si è speso molto portando le istanze direttamente all’uomo della Goldman Sachs per risolvere o trovare una soluzione, si potrebbe rischiare che il tanto vituperato governatore trovi il contentino al popolo corroborando le reti clientelari e opache che governano la nostra regione? Non abbiamo nessuno risposta. Risparmio ogni critica alla destra perché sarebbe troppo scontato e facile. Andiamo alla sinistra! L’assenza delle strutture e la mancanza di territorialità ha messo a nudo in questi giorni l’inesistenza di essa. I partiti di “sinistra” sono stati investiti da questa ondata di protesta emanando comunicati e posizioni a dir poco agghiaccianti, avallando le posizioni inaccettabili di Confindustria e dei movimenti colorati, testa di ponte del pericolosissimo e potente turbo-capitalismo travestito da duro ribellismo integrato al sistema. Sono impreparati. Potremmo assistere in futuro a scontri tra i poteri reazionari storici e quelli relativamente nuovi portati in auge dalle politiche neoliberiste, neomercantili e neoclassiche dell’Europa. I trattati internazionali più significativi, ovvero quello di Marrakech, Maastricht e Lisbona hanno di fatto esautorato i governi e gli stati, togliendo potere alle istituzioni locali che hanno vissuto, dall’unità d’Italia, in simbiosi con le mafie. L’espediente dei poteri locali potrebbe essere quello di far leva sul sicilianismo per riappropriarsi di ciò che il potere centrale, ora a Bruxelles, vuole togliere. Effettivamente le politiche europee stanno distruggendo il settore agricolo siciliano (e non solo) ma facciamo attenzione perché tutto ciò è un remake. La strada del Sicilianismo è stata usata più volte: tutti uniti contro lo Stato Italiano è una strada percorsa e si è rivelata e si rivelerà una forma di strumentalizzazione delle classi subalterne e di conferma e aggravamento della loro subalternità.
Insomma se i poteri combattono tra loro, tra i due litiganti il popolo soffre, schiacciato dal giogo della mafia e dell’imperialismo finanziario che estorce ai lavoratori lacrime e sangue. Non sappiamo come squilibrare l’equazione, come creare conflitti, come fare esplodere le contraddizioni. Oggi tutti i giornali e le trasmissioni tanto amate dalla sinistra ci dicono maniacalmente che la minaccia che incombe sulle famiglie e sulla democrazia è l’opulenza della casta, l’evasione fiscale, e altre stronzate e ci continua a dire che il futuro prospero sarà soltanto con un’Europa Unita, per contrastare l’egemonia americana e cinese. E così, l’attivismo dei cittadini corre a guardare di là, corre ad ascoltare i miti dell’antisistema, ignorando l’attacco più devastante alla democrazia, già scardinata e rimossa. Anche lì assistiamo ai feroci attacchi tra giornali, anche in quel caso assistiamo allo scontro tra poteri in cui tra i due litiganti il terzo soffre.
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