Report Forum 7 Maggio “Contro la privatizzazione dei beni comuni: quali prospettive?”
L’argomento è di scottante attualità. Il referendum ha abolito la privatizzazione dell’acqua, ma sono in atto una serie di spinte sotterranee, provenienti da Comuni con amministrazioni sia di destra che di sinistra, i quali stanno studiando tutti i modi per aggirare i risultati del referendum e affidare la gestione a enti privati, magari con partecipazione comunale. Il Forum è stato coordinato da Pino Dicevi che, in apertura ha proiettato un videomessaggio di Alberto Lucarelli, impossibilitato a intervenire personalmente, ma impegnato nell’amministrazione dei beni comuni a Napoli, dove è assessore e dove sta ottenendo importanti risultati. Lucarelli ha fatto riferimento ai tentativi “eversivi” da parte dei governi Berlusconi e Monti di inficiare di fatto quanto emerso dal referendum. Il fine è quello di incentivare la finanziarizzazione delle risorse naturali, anche grazie alla modifica dell’articolo 81 della Costituzione e del fiscal compact, cioè dell’imposizione del pareggio di bilancio da parte delle oligarchie tecnocratiche europee.
Dicevi ha illustrato l’attività che l’Associazione Peppino Impastato sta svolgendo sul territorio, attraverso il coinvolgimento di diverse amministrazioni comunali in una “Rete dei Sindaci” che si impegnino nella ripubblicizzazione dell’acqua, fuori dalle tradizionali manovre della gestione clientelistica.
Maurizio Montalto, noto giurista del Forum Nazionale dell’Acqua pubblica, ha parlato di un’analoga esperienza di “Rete dei Sindaci” che sta prendendo corpo in Campania e nelle Marche e che mira ad andare oltre gli ATO, ovvero questi enti inventati per fare risolvere a soggetti politici e a strutture inutili la gestione delle acque e dei rifiuti. Tale gestione si è rivelata fallimentare, e giornalmente crea problemi che rischiano, per incapacità dei sindaci, di sommergere i cittadini di rifiuti o di rendere problematica la disponibilità dell’acqua nei rubinetti. Quello della riscossione dei tributi è un problema connesso, sia perché anche qui si è ricorso alle banche, come il Montepaschi di Siena, sia perché non sempre esistono strumenti per la registrazione dei consumi e per il loro relativo pagamento. Nel corso del dibattito il concetto di bene comune si è allargato al diritto a un ambiente sano, all’istruzione, alla sanità, all’ordine pubblico e quindi a tutto ciò cui il cittadino ha diritto e che, nelle politiche liberiste, viene dirottato verso la gestione privata, nel nome del profitto o dell’incapacità di gestione. Sono stati citati anche esempi, come quello della diga sullo Jato, la cui gestione è passata dal Consorzio irriguo Jato al Consorzio Palermo 2, uno dei tanti carrozzoni clientelari, che si è rivelato incapace di gestire l’acqua per uso irriguo, abbandonando una serie di campagne alla desertificazione e preoccupandosi di fornire acqua solo a Palermo.
Giulio Palermo ha fatto riflettere sull’importanza di affrontare la questione dei Beni comuni attraverso il paradigma dell’opposizione alla mercificazione capitalistica delle risorse. Occorre cioè riempire l’indeterminatezza e la vaghezza che spesso caratterizzano il concetto di bene comune. Tali incertezze sono infatti quelle a partire dalle quali possibili strumentalizzazioni politiche del movimento possono e potranno prendere piede. Occorre dunque riempire lo spazio aperto ed inaugurato da tali movimenti dal basso, dalle mobilitazioni che sono stati in grado di sviluppare, con parole d’ordine anticapitalistiche, in grado di tematizzare le contraddizioni del nostro modello di sviluppo.
Nel suo intervento Vincenzo Miliucci, dell’Esecutivo nazionale dei Cobas, ha illustrato una serie di possibilità con cui ci si può sottrarre all’estorsione fiscale, rifiutandola, nel nome di un diritto all’esistenza, che è il primo, elementare più importante diritto ad avere il minimo indispensabile per mandare avanti la propria vita. Miliucci ha prospettato una progressiva crescita rivoluzionaria del dissenso attraverso “il rifiuto” della “bolletta” e una riappropriazione dal basso dei beni comuni, soprattutto di quelli negati e messi a disposizione solo da chi ha i soldi per poterli pagare.
Interessante anche l’intervento di Fiorella Giordano, che, per il movimento “A Sud” ha riassunto le vicende con cui i vari stati nazionali hanno cercato di raggiungere accordi, come il protocollo di Kyoto, che scade quest’anno, per ridimensionare le emissioni di anidride carbonica, i fallimenti di questi incontri, le manovre per eludere ciò che viene sottoscritto e il degrado inarrestabile del pianeta.
Valentina Bonadonna ha allargato il tema di “bene comune” al diritto alla giustizia, che spesso viene anch’esso monetizzato e quindi reso difficile, sia attraverso le nuove figure dei “mediatori”, sia per la mancanza di un gruppo di avvocati che si occupino dell’assistenza dei ceti più deboli.