Matrix is not dead
All’inizio degli anni novanta in certi ambienti di movimento c’erano tre o quattro argomenti ricorrenti di discussione: le posse, un rigo dei Grundrisse di Marx in cui viene usato il termine general intellect, la legalizzazione della marijuana ed il cyberpunk.
Quest’ultimo deve la sua diffusione in Italia soprattutto alla casa editrice Shake di Milano e alla rivista Decoder, partorita da personaggi provenienti dalla scena punk milanese, come Gomma, Raf Valvola e Marco Philopat, che si erano avventurati nella ricerca dei potenziali di controllo e liberazione delle nuove tecnologie informatiche. Per dare conto della diffusione che in quegli anni ebbe Decoder basti dire che alcuni numeri arrivarono ad avere una tiratura di 10000 copie. Ma al di là del dato quantitativo, per chi si trovava la rivista tra le mani era assolutamente chiaro di stare difronte a qualcosa di decisamente avanti con i tempi. Da lì nacquero, infatti, le prime BBS (Bulletin Board System), la bacheche elettroniche che possono essere considerate tra i primi esperimenti di reti informatiche in Italia.
Sottolineo questi dati perché sono abbastanza significativi di come in Italia (ma evidentemente non solo) il cyberpunk non fu solamente un fenomeno letterario, ma ebbe innanzitutto connotazioni politiche, per cui la fascinazione per i miraggi fantascientifici era dettata dal fatto che si stava vivendo in pieno un accelerazione della storia, la fantascienza descriveva la società contemporanea, il futuro diventava velocemente presente e, in men che non si dica, passato. Tanto che Bruce Sterling datò al giugno 1991 la fine del Cyberpunk come movimento letterario, essendo tutta la produzione, a suo dire, ormai arenata nel ricalcare i canoni dei suoi scritti di quelli di Gibson e di Dick. Il notevole Snow Crash di Neal Stephenson del 1992, alla sua uscita veniva già considerato post-cyberpunk.
Matrix, insieme al suo contemporaneo eXistenZ di David Cronenberg, rappresentano il tentativo di fine millennio di portare alle estreme conseguenze determinate tematiche e dire l’ultima parola sul genere.
Entrambi i film, infatti, affrontano il tema, filosoficamente assai antico, dell’indeterminatezza radicale tra realtà e rappresentazione, dell’impossibilità di distinguere, cioè, tra ciò che è vero e ciò che è un artificio. Ma a differenza del labirintico film di Cronenberg, Matrix affronta la questione attraverso una teoria del conflitto. L’indeterminatezza radicale viene presa come chiave per descrivere i dispositivi di controllo della società contemporanea. E’ la società dei consumi che portata alle sue estreme conseguenze rende la nostra realtà una costruzione artificiosa, feticistica, dietro la quale, se osserviamo con attenzione, ci accorgiamo che non si nasconde nulla. Il capitalismo moderno è una forma irrazionale di dominio che non si regge su nessuna logica, ma solo sulla sua capacità di riprodursi attraverso lo sfruttamento dei corpi e delle menti.
Il riferimento esplicito dei fratelli Wachowski è alle teorie del filosofo francese Jean Baudrillard, sicuramente il più catastrofico e radicale di tutta la famiglia dei poststrutturalisti francesi. Baudrillard nel suo Lo scambio simbolico e la morte sostiene che nella nostra epoca si sono affermati i simulacri di terzo ordine, i quali hanno smesso di cercare un riferimento nella natura o nelle catene della serialità industriale, e sono ormai auto-referenziali. Linguistica ed economia ormai sono indistinte tra loro, per cui il rapporto esistente tra valore d’uso e valore di scambio è omologo a quello tra significato e significante, ed è avvenuto un progressivo distaccamento dei primi dai secondi. Significanti vuoti e puri valori di scambio hanno perso ormai ogni riferimento oggettivo e si scambiano solamente con altri significanti e altri valori di scambio.
Baudrillard descrive la nostra società, quindi, come dominata dalla matrice di simulazione:
“Dalla più piccola unità disgiuntiva (la particella domanda/risposta) fino al livello macroscopico dei grandi sistemi d’alternanza che governano l’economia, la politica, la coesistenza mondiale, la matrice non cambia: è sempre lo 0/1, la scansione binaria che s’afferma come la forma metastabile, o omeostatica, dei sistemi attuali. Essa è il nocciolo dei processi di simulazione che ci dominano” [J. B., Lo scambio simbolico e la morte].
La forma che la simulazione assume è quella di un codice generativo da cui tutte le opposizioni hanno origine, questo codice originale è una matrice di segni senza possibilità di interpretazione, di puri significanti, da cui tutto viene emanato: un alternarsi di zero e uno che si irradia a tutti i livelli, con l’abbandono definitivo di qualsiasi significanza o di qualsiasi finalità. Non più un modo di produzione, quanto piuttosto un codice di riproduzione.
A dire il vero Baudrillard non apprezzò il film, ed anzi prese le distanze da un possibile accostamento alle proprie opere. Ci saranno rimasti male i fratelli Wachowski che invece avevano reso esplicito l’omaggio al filosofo francese tanto che, all’inizio del film, quando un gruppo di cyber-ravers va ad acquistare da Neo un dischetto pirata, si vede che Neo li conservava in un libro, che in realtà era una scatola. Se si nota bene il libro in questione è Simulacri e simulazione appunto di Jean Baudrillard, che essendo un finto libro diventa addirittura un simulacro di Simulacri e simulazione.
Matrix è stracolmo di questi piccoli giochi fatti con gli spettatori. Si riescono a scoprire nuovi particolari anche dopo molte visioni. Sono disseminati in tutto il film riferimenti ad Alice nel paese delle meraviglie, all’esegesi biblica, alla metafisica matematica di Godel, all’Odissea, al Taoismo e alle arti marziali. Ritorna più volta il numero 101 (la stanza di Neo, il piano del nightclub del Merovingio, l’autostrada di Reloaded), che è lo stesso numero della stanza delle torture di 1984 di Orwell. Persino i numeri di targa delle auto DA203 e IS5416 sono dei riferimenti ai versetti biblici Daniele 2:3 e Isaia 54:16). E così praticamente all’infinito.
Matrix ha rappresentato una rivoluzione visiva, è stato sicuramente il prodotto culturale più rappresentativo di una generazione. I suoi effetti speciali, i dialoghi, i suoi standard sono diventati elementi dell’immaginario diffuso ed ha aperto anche a nuovi modi di intendere la produzione culturale.
Matrix è infatti uno dei primi prodotti transmediali, per cui il film non inizia e finisce in se stesso, ma continua e si alimenta anche su altri media. Oltre a esserci due sequel (Matrix Reloaded e Matrix Revolution) esistono anche un videogioco Enter the matrix, un sito internet, una serie di fumetti e una raccolta di corti animati, Animatrix, i quali non sono semplicemente delle appendici o dei derivati dal prodotto principale. Ma sono parti essenziali della narrazione. Ci sono dei nessi impossibili da comprendere se non si vedono anche gli altri prodotti. Come, ad esempio, non si riesce a comprendere il passaggio tra il primo Matrix e Matrix Reloaded senza vedere anche uno dei corti presenti in Animatrix.
Matrix è un gioco labirintico nel quale gli stessi fratelli sembrano essere rimasti incastrati. La loro produzione successiva non ha regalato, infatti, perle di qualche menzione, limitandosi ad un noiosissimo Speedracer (praticamente come guardare una lunga partita ad un videogioco in cui non si sta giocando) e la produzione (ma non la regia) di una trasposizione filmica del capolavoro di Alan Moore V for Vendetta, un po’ piatto è che banalizza notevolmente il senso complessivo rispetto al fumetto.
Adesso Matrix ha già 13 anni, la nostalgia del presente l’ha traghettato in men che non si dica da fantasia sul futuro e ricordo del passato. Resta da capire cosa resta oggi di Matrix e di tutto il cyberpunk, in un momento in cui sembra essere preclusa ogni possibilità di immaginare un futuro e in cui si inizia a parlare con insistenza di fine del postmoderno.
Resta di sicuro la spinta critica che rivela la natura profonda del capitalismo: la suo capacità di dominio attraverso la falsificazione. Altro che ritorno al reale! Assistiamo piuttosto al grado puro della mistificazione, al puro dominio della tecnica (e dei tecnici), che svende come realtà imprescindibile un sistema economico che si basa sull’autocertificazione taroccata del proprio funzionamento. La nostra economia viaggia sempre più attraverso quei codici sorgente verdi fosforescenti che scendono verticalmente nei nostri monitor, e che a guardarli bene scopriamo che su di essi sono edificate le nostre case, le nostre parole e i nostri sguardi. La materialità che ritorna, non è altro che l’effetto compiuto del lavoro di incisione profonda, di risemantizzazione epidermica, operato della matrice di riproduzione sui nostri corpi.
Se davvero il postmoderno è finito, se davvero il Reale è tornato, dobbiamo ammettere che il Reale che alla fine ha trionfato è talmente illusorio da negare ogni illusione concorrente.
Se davvero il postmoderno è finito, non è allora a causa di un ritorno del reale, ma dal lato opposto, quello dell’eccesso di mistificazione che raggiunge lo stato puro nella Crisi, nella catastrofe imposta come unica realtà possibile, della tecnica come negazione di ogni possibilità di scelta. E’ sappiamo che non c’è peggiore mistificazione di quella imposta come necessaria ed ineluttabile. Perché una scelta è sempre possibile, quella tra pillola rossa e pillola blu.
Salvatore Cavaleri
(Questa relazione è stata esposta lo scorso 14 dicembre in occasione della proiezione del film Matrix all’interno della rassegna cinematografica Cyberpunk e potere organizzata dall’associazione Radio Aut tra il 23 novembre e il 21 dicembre al Laboratorio Zeta.)