Minchiata #34 – Giù la testa
Minchiate. Spigolature di un compagno scomodo
Rubrica a cura di Salvo Vitale
Giù la testa
Perché dovremmo ancora lasciarli godere?
E’ arrivato il tempo in cui devono essere giudicati
per i loro crimini, per il loro non far niente,
per le assenze dal luogo di lavoro, primo fra tutti il Parlamento,
per gli stipendi favolosi, le indennità di partecipazione,
i rimborsi elettorali falsi e gonfiati, le mazzette, i festini,
le cure termali gratuite per i familiari, i pranzi a sbafo,
le auto blu, i favori, la sistemazione dei parenti,
la manipolazione della giustizia a proprio uso e consumo,
la privatizzazione degli spazi e dei beni comuni,
l’ostentazione dell’essere razza padrona.
Togliamogli ogni rifugio, ogni nascondiglio,
mettiamoli in croce a pagare il male che ci hanno fatto,
che ancora ci stanno facendo.
Hanno mangiato tutto quel che ci apparteneva,
l’aria con gli inceneritori e le raffinerie,
l’acqua sversando veleni e rifiuti chimici senza controlli,
gli spazi di verde con la cementificazione,
i diritti conquistati con il sangue dai nostri padri,
la pensione, la dignità di lavorare, di avere una casa,
persino la facoltà di scegliere chi mi deve rappresentare:
ci hanno ridotto a schiavi, i nuovi schiavi del nuovo secolo.
La devastazione riguarda, oltre al portafogli, anche le coscienze,
quella che hanno definito “democrazia”,
ma che è e rimane il governo di pochi lazzaroni.
Ed hanno in mano quel che serve a proteggersi,
a difendersi ed a perpetuarsi,
un capitale economico immenso,
schiere d’uomini armati davanti al tesoro,
nascosti caveau fuori dalla nostra immaginazione.
Non dobbiamo più perdere tempo,
ma iniziare subito la cena collettiva,
preparare i roghi dove arrostire i porci
che per secoli si sono ingrassati con pezzi della nostra vita,
con i nostri sogni, il nostro futuro negato,
i nostri risparmi risucchiati dal vortice della loro voracità.
Ci è rimasto ben poco da tenere, da difendere,
il nostro nulla, cioè che resta della nostra libertà.
E allora che inizi il pubblico processo, si preparino le gabbie,
attrezziamoci per smontare il giocattolo dell’oppressione,
per riconquistare i nostri spazi, ove pronunciare le condanne:
niente sangue, ma lavoro,
tu lavori per me, così com’io ho lavorato per te,
se non ti piace, se ti stanchi, se ti rifiuti,
se sei giunto come noi sulla soglia della disperazione,
se vuoi accampare diritti,
ricordati che sei stato tu a volere l’abolizione dell’articolo 18.
Giù la testa!!!
(21-3-2012 – Salvo Vitale)