Premio Tenco 2016: Rumori di fondo – Inaugurata la mostra del Collettivo Askavusa di Lampedusa
Il Santuario della Madonna di Porto Salvo di Lampedusa – 2011 – Giacomo Sferlazzo.
L’elemento distruttivo o critico nella storiografia si esplica nello scardinare la continuità storica. La storiografia autentica non sceglie il suo oggetto a man leggera. Non lo afferra, lo estrae a forza dal decorso storico.
W. Benjamin
La ricchezza delle società, nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico, si presenta come una «immensa raccolta di merci» e la singola merce appare come sua forma elementare.
K.Marx
Queste due citazioni introducono la mostra “Rumori di fondo” del Collettivo Askavusa di Lampedusa e la collocano a pieno titolo, tra le cose più interessanti di quest’anno al Premio Tenco dal 20 ottobre al 5 novembre 2016, presso gli ex magazzini ferroviari di San Remo.
Abbiamo estrapolato dal sito di Askavusa la presentazione e ci auguriamo che tanti e tante possano visitarla.
Buona lettura
RADIO AUT per l’antimafia sociale
Nel fondo del mare si sedimentano gli scarti della storia e nel fondo della storia si sedimentano le rivendicazioni e le lotte degli strati subalterni della società. Sopra questi, il vocio delle rappresentazioni dominanti riesce a coprire il grido forte che dal fondo arriva. A volte, addirittura, di questo urlo il coro di regime ne fa un canto addomesticato per le orecchie di chi ha spinto nel fondo i corpi degli oppressi: un canto di sirene robotizzate che distrae, che addormenta, che annienta.
Estrarre a forza dal fondo o dal «decorso storico», il rumore autentico degli oppressi è impresa, non solo ardua, ma che si presta a mille altre rimodulazioni e pericoli. Solo se si è attraversato quel fondo ci si può intonare all’urlo e solo se si è attraversata la discarica della storia si può tentare di estrarne «a forza» gli scarti. Nei nastri bagnati delle audiocassette si ritrova, forse, la dimensione autentica di questa vibrazione, nell’incepparsi dei nastri che non scorrono perfettamente c’è l’incepparsi della storia. Una storia che banalmente “è scritta dai vincitori” e che dunque ci impone per un attimo di diventare analfabeti o di inventare nuovi alfabeti.
Allora le lettere rimangono intraducibili nella loro totalità, divengono più significanti nel loro essere inaccessibili attraverso il nostro linguaggio, il nostro alfabeto, la nostra cultura. Queste lettere rimandano ad un mistero e ad una risposta che va ascoltata al di là del loro significato immediato: si ascoltano con gli occhi, con la pelle, con i polmoni ma necessariamente con una presa di posizione. Lo stesso voler ascoltare è una presa di posizione.
Rumori di fondo non ha una pretesa di universalità ma è partigiana fin dalla sua origine, cioè fin dalla raccolta degli oggetti nella discarica di Lampedusa, raccolta avvenuta all’interno della barche usate per la traversata del Mediterraneo; barche che lo Stato italiano ha distrutto, con tutto quello che vi era dentro, spendendo centinaia di migliaia di euro.
Questi oggetti sono stati spazzatura, vedendo sospeso così il loro valore (d’uso e di scambio) e divenendo quello scarto che aspetta di assumere un valore “passivo” che si realizza nel passaggio in discarica e poi nello smaltimento. Il processo che potremmo chiamare di “espropriazione del valore attivo dell’oggetto”, ovvero la sua riduzione a spazzatura, viene messo a profitto dalle aziende che si occupano del ciclo dei rifiuti, ricorrendo spesso ad emergenze create ad arte. Dunque (s)oggetti dalle svariate funzioni e valore divengono una massa omogenea priva di specificità “soggettive”, da cui si può estrarre profitto.
C’è una forte analogia tra gli oggetti/spazzatura e i corpi delle migliaia di persone in fuga o in cerca di un lavoro che hanno subito la sottrazione della loro complessità e sono stati cristallizzati nella categoria dei “migranti” (grazie ad una serie di leggi e di politiche). Nella negazione di un viaggio “regolare”, nei centri di detenzione per migranti (discariche) e poi nel mondo del lavoro (processo di smaltimento), si crea una massa indefinita e privata di soggettività, da cui facilmente si può estrarre profitto.
Il rumore di fondo che emerge da questi oggetti è accompagnato da un altro ronzio, quello dell’opera di Giacomo Sferlazzo, composta con legni, scarpe, stoffa, corda e pagine di testi sacri. Tutti oggetti che da anni vengono recuperati e riassemblati da Sferlazzo in seno ad un suo più ampio e organico rapporto espressivo, memoriale e di lotta con il proprio territorio, con i processi epocali che lo attraversano, con la sua storia, con la sua gente, con i nomi della sua lingua. Quest’opera di Sferlazzo si pone in dialogo con uno dei luoghi cardine della storia e dell’identità di Lampedusa, il Santuario della Madonna di Porto Salvo. Il santuario mariano è stato costruito su due grotte adiacenti in cui si praticava il doppio culto: quello della Madonna di Lampedusa e quello della preghiera musulmana. In una delle due grotte, infatti, era seppellito un marabutto turco. Anche qui la storia ha fatto il suo corso e della presenza islamica non resta alcuna traccia.
Nella grotta/santuario, come nell’isola di Lampedusa, vi era una sorta di porto franco. Come se una koinè del mare, a dispetto degli scontri e delle ostilità che tanto insanguinavano le terre e i continenti limitrofi, volesse garantire, a chiunque rischiava la vita in navigazione, un porto sicuro, un rifugio, uno straccio di terra in cui potere approdare. Un luogo originariamente sacro, dunque, perché prima ancora dell’insediarsi dei culti rivelati e codificati era vissuto come luogo di salvezza, di ristoro e riparo nella dura e pericolosa vita del mare. Il porto salvo si estendeva anche agli oggetti e alle merci lasciati dai naviganti in quel luogo sacro: corde, biscotti secchi, formaggio, attrezzi per la navigazione, monete. Anche in questi oggetti avveniva una sospensione del valore o meglio una riformulazione del valore che si caricava di misticismo e magia: i molti doni lasciati nella grotta potevano essere presi solamente da chi ne aveva bisogno e chi prendeva qualcosa ne doveva lasciare un’altra. Se qualcuno avesse rubato, senza averne bisogno, sarebbe allora rimasto intrappolato sull’isola a causa dalle tremende tempeste che si sarebbero scatenate.
Molti naufraghi trovarono riparo sull’isola, così come molti schiavi, scappando dalle galere dei pirati che da Lampedusa passavano per rifornirsi di legna ed acqua o per ripararsi dalle tempeste. La storia di Andrea Anfossi di Castellaro Ligure è emblematica, in questo senso, cosi come quella della confraternita degli schiavi di Nossa Senhora da Lampadosa.
Questi ultimi erano schiavi di origine africana che, giunti sull’isola, si convertirono al cattolicesimo e iniziarono a venerare Nostra Signora di Lampedusa. Durante la loro deportazione in Brasile trasportarono una statua raffigurante quella Madonna per realizzare, in seguito, un santuario dove si sarebbe festeggiata la liberazione degli schiavi dalle catene e praticato il culto di Nossa Senhora da Lampadosa, patrona degli schiavi.
Oggi, a partire da questi rumori di fondo, tentiamo di comporre un’altra canzone. Una canzone che riemergendo dal fondo porta con sé i fatti e le rivendicazioni che la narrazione ufficiale tende a far naufragare in un mare bellissimo e colmo di menzogne.
L’ascolto, rimane qui, il punto di partenza necessario.
Collettivo Askavusa