Una targa per Don Tano
Ha creato sdegno, sconcerto, rabbia, irritazione, particolarmente in Italia, la notizia che al Mob Museum di Los Angeles è stata collocata una targa dedicata al boss Gaetano Badalamenti. Il MOB è il primo museo tematico sulla criminalità organizzata, inaugurato appena il 18 febbraio scorso, tra malumori, ostilità e aperte prese di posizione contrarie, soprattutto da parte degli italo-americani, i cui esponenti di provenienza criminale sono particolarmente rappresentati. Il museo costituisce una importante rassegna di documenti, testimonianze, notizie, immagini, reperti della criminalità e della lotta sostenuta dalle forze dell’ordine americane contro la mafia nazionale e internazionale. All’interno della struttura è ricostruito il percorso criminale di boss come Al Capone, Lucky Luciano, Bugsy Siegel, Frank Costello, Albert Anastasia e il modo in cui si è arrivati alla fine della loro carriera criminale. In questo contesto non poteva mancare Gaetano Badalamenti, il boss di Cinisi che fu uno dei primi a scoprire la redditizia attività dei traffici di droga e che, grazie a un triumvirato con Stefano Bontade e con Luciano Leggio, nel 1970 ricostituì la Cupola mafiosa e la resse sino al 1978, anno in cui venne “posato” e sostituito da Michele Greco, ma anno anche in cui venne ucciso, per sua mano, Peppino Impastato. Quando tutti lo davano per spacciato, l’8 aprile 1984 venne arrestato a Madrid a seguito di una vasta operazione condotta dalla Criminalpol , dalla Guardia di Finanza, dal Dipartimento Antinarcotici Americano (DEA), dalla polizia spagnola e da quella svizzera. Assieme a don Tano venne catturato il figlio Vito e il nipote Pietro Alfano, mentre altri due nipoti, Faro Lupo e Vincenzo Randazzo furono arrestati in USA. Il tutto all’interno dell’operazione “Pizza Connection”, costata 4 miliardi di lire. Badalamenti venne estradato, malgrado le richieste della magistratura italiana, negli USA, dove venne processato e condannato a 47 anni per traffico di droga. Morì in carcere, per cancro, a 81 anni, nel centro medico federale di Devens, dove era stato trasferito dal carcere di Fairton. Due anni prima era stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Peppino Impastato.
Sulla targa dedicata al boss è scritto: “Gaetano Badalamenti, celeberrimo boss della mafia siciliana, si distinse per essere stato il capo di un giro di traffico di eroina internazionale multimiliardario che andava da Brooklyn alla Sicilia». A parte il fatto che il traffico di droga andava dalla Sicilia a Brooklyn, la notizia ha sollevato un vespaio di proteste, a cominciare da Giovanni Impastato, fratello di Peppino, il quale ha dichiarato: “Purtroppo la mafia viene spesso considerata un fenomeno di folklore, soprattutto all’estero. Così facendo non si incoraggia la diffusione di una cultura antimafia, che esiste da quando esiste questo fenomeno. Non bisogna mai dimenticare che la mafia, nel tempo, ha sempre avuto dei contestatori e che ci sono state delle persone che hanno dato la loro vita per combatterla”. Vibrante anche la protesta del giudice anticamorra Vincenzo Macrì, il quale ha detto: “Cosi si applicano dinamiche revisionistiche e si tenta di storicizzare un fenomeno tutt’altro che finito. Sul piano culturale è pericoloso perché si tenta di circoscrivere la mafia in modo che la gente possa dire “è roba da museo” ed è finalizzata a creare un alone leggendario attorno a squallidi criminali».
Il portavoce del museo Mike Doria, in un’intervista su “KlausCondicio”, la trasmissione in onda su YouTube condotta da Klaus Davi e riportata dal giornalista Francesco Parrella, ha candidamente dichiarato: “Non crediamo di irritare la sensibilità di nessuno: i mafiosi sono protagonisti della storia e la gente vuole conoscere la loro storia… Il nostro obiettivo non è affatto la celebrazione della mafia… Abbiamo privilegiato i mafiosi che si ammazzavano tra di loro… Dedicare spazio alla storia della mafia aiuta il turismo. Siamo ai ritmi di mille visitatori al giorno». Anche in Italia un museo simile, secondo Doria, «potrebbe funzionare». Il portavoce spiega inoltre che nella struttura del Nevada c’è anche un settore dedicato alle vittime del crimine, come Joe Petrosino, e ai pentiti, come Tommaso Buscetta. Il conduttore non ha escluso, in futuro altre menzioni per Falcone, per Borsellino o per Peppino Impastato ucciso proprio da Badalamenti,
La considerazione del giudice Macrì, cioè che il rischio è quello di considerare la mafia “roba da museo”, quando ancora essa è viva e vegeta, o di creare un alone di leggenda attorno ai criminali, è fondata. E tuttavia bisogna tener presente che carovane di turisti vanno giornalmente a visitare la casa di don Tano a Cinisi, i beni confiscati ai mafiosi di Corleone o, addirittura, la tomba del bandito Giuliano: la storia del crimine ha il suo “fascino oscuro” e suscita interesse.
A parte tutto si può discutere se è più educativo conoscere la storia e i crimini dei boss o ignorarne del tutto l’esistenza. La targa a Badalamenti, in un museo di targhe dedicate ai mafiosi della sua risma, non dovrebbe stupire nessuno: perché gli altri sì e lui no? Che diamine!! Siamo davanti a uno dei più importanti boss della mafia, il boss dei due mondi, capace di unire in un unico amoroso amplesso i criminali americani e quelli siciliani, come già aveva fatto Lucky Luciano, il quale ha la sua brava targa. Riteniamo pertanto vuota retorica la pubblicità che si è voluta dare a un evento da giudicare nel contesto in cui è inserito e nella mentalità americana del far business e pubblicità a se stessi anche per quel che riguarda la storia del crimine. Don Tano è un grande, ha dato nome e lustro a Cinisi, dove, non bisogna dimenticare, c’è una via intestata a Salvatore Badalamenti, partigiano, suo fratello, ucciso vicino a Cuneo, in circostanze poco chiare. Don Tano stesso si è vantato, al processo Impastato, di avere dato un personale contributo alla liberazione dell’Italia dal fascismo. Ma va!!! Non aveva mobilitato i suoi picciotti per appoggiare il golpe di Junio Valerio Borghese nel 1970?.
E’ morto in carcere da vero boss, senza il minimo segnale di pentimento, senza nessuna ammissione sul suo ruolo di mafioso. E’ saputo sfuggire alla caccia senza quartiere che Totò Riina aveva scatenato contro di lui, uccidendogli una trentina di parenti e amici.
“Don Tano che è un uomo di grande fede, di fede immensa, un uomo che crede fino in fondo nella divinità, che crede fino in fondo nei santi, nella pace divina, nella pace eterna. Don Tano che ha dato due milioni per festeggiare la santa del Furi. La festa l’ha pagata lui, don Tano, che non è mai un malo cristiano, è sempre stato un santo cristiano, don Tano che prega….” Questo diceva di lui Peppino Impastato a Radio Aut, nella trasmissione “Onda Pazza” del 28-4-1978, dieci giorni prima di essere ucciso. E quindi bene la targa, viva don Tano, avviamo il processo di beatificazione, Tano da morire, onnipresente, pan-Tano, (pan in greco significa tutto), vicino e lon-tano, Napole-tano, caffe-tano, gae-tano, caser-tano, sciacchi-tano, samari-tano, spar-tano,dere-tano, but-tano.
(Salvo Vitale)