IL VALORE DI UNO SCIOPERO di Chiara Cipolla – Docente

Il valore di uno sciopero
La distanza tra noi cittadini e la consapevole partecipazione alla costruzione di una società democratica è oggi tanto marcata e così radicalmente compromessa che, in ogni luogo di lavoro e in molti contesti collettivi, i tanti che lunedì 22 settembre scenderanno in piazza e simbolicamente bloccheranno il Paese per 24 ore stanno subendo l’accusa di essere inopportuni, faziosi, offensivi, manipolatori, ideologici, strumentalizzatori di un dolore altrui.
Molti di coloro che muovono tali accuse sono, a diverso titolo, operatori culturali, alcuni perfino “erogatori” di conoscenza ed educatori. Fossi in loro mi fermerei un momento a ragionare, con onestà. Guardandomi allo specchio, ripenserei a quante volte nelle aule, nei congressi, nei dibattiti pubblici le loro voci si sono trasformate in appelli, quante volte hanno insistito sulla necessaria conoscenza della Storia e sull’indispensabile costruzione di una memoria condivisa per garantire alla nostra Repubblica, alle “nostre” democrazie di non collassare e implodere sotto il peso della complessità.
Ebbene, fossi in loro, con umiltà, andrei a riaprire un libro di Storia, un manuale scolastico, di quelli che insieme ai nostri alunni vivisezioniamo in classe alla ricerca di strumenti adeguati alla crescita di cittadini critici e responsabili. Lo sfoglierei alla ricerca del capitolo dedicato alla guerra di Liberazione e mi soffermerei sul proclama diffuso via radio da Sandro Pertini alla vigilia del 25 aprile: “Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire”.
Ciò che accadde dopo quel messaggio è noto a tutti noi. O almeno così dovrebbe essere, considerando che non facciamo che appellarci alla “preziosa” funzione formativa della scuola e alla responsabilità di noi docenti nella sempre più difficile “missione” educativa.
Io domani non entrerò a scuola, resterò fuori dalle aule, andrò in piazza. Avendo ben in testa gli occhi dei miei alunni, che sono alla costante ricerca di esempi credibili e punti di riferimento onesti, manifesterò con angoscia il mio dissenso nei confronti di governi e governanti ciechi e sordi, la mia estraneità rispetto a una classe politica oziosa e indolente, il mio sdegno verso una società civile sempre più agone e sempre meno comunità.
Come me molti docenti, strenuamente attivi ogni giorno dentro le scuole, scenderanno in strada e grideranno che è tempo di dire basta, di ascoltarle le urla silenziose dei gazawi e incrociare gli occhi svuotati dei palestinesi.
Io non resterò indifferente, non nasconderò allo sguardo implacabile della mia coscienza una colpevole inazione che ama dissimularsi dietro paraventi fatti di solidarietà parziale, elemosina da salotto e filantropia interessata.
Io non resterò indifferente, come tante, troppe volte abbiamo rimproverato agli italiani di un tempo di aver fatto, sapendo o intuendo ciò che accadeva in partenza da Fossoli o da San Sabba.
Me lo hanno insegnato le parole di Pericle, i versi di Ungaretti, i sogni di Martin Luther King, i partigiani di Calvino, le colline di Pavese e le montagne di Fenoglio, i bianchi e neri di Picasso, i dubbi di Montale e l’autobus di Rosa Parks, le marce di Danilo Dolci e i compagni di Peppino Impastato, l’ostinazione di Matteotti e la resilienza di Gramsci, la Guerra dei Trent’anni di Brecht e l’utopia di Müntzer, il Sand Creek di Faber e ciò che sosteneva Pereira, l’attaccamento alla vita di Ida Ramundo e il petalo rosso di Allende, la voce vibrante di Adelmo Cervi e gli occhi accecati di Irma Bandiera, l’esilio di Neruda e il martirio di Garcia Lorca, il no di Franca Viola e le matite di Malala, i venerdì di Greta e le primavere dei popoli, le ambizioni originarie dell’ONU e i confinati di Ventotene, i versi di Madiba e la nascita dei Giardini dei Giusti, le imprescindibili riforme di Tina Anselmi e Lina Merlin, Don Milani tra i suoi ragazzi a Barbiana e Gino Strada negli ospedali sotto le bombe, Gianni Rodari che la guerra non si fa “né per mare, né per terra” e la Costituzione che “l’Italia ripudia la guerra”, il sangue freddo di Ken Saro-Wiwa e quello versato a Marzabotto.
Insomma… me lo hanno insegnato coloro che ogni giorno popolano le aule durante le mie e nostre attività didattiche a scuola, tra lezioni, laboratori teatrali, circoli di lettura, cineforum, approfondimenti storici e curriculum di educazione civica.
Continuano a insegnarmelo le poesie di Mahmoud Darwish e dei tanti poeti palestinesi silenziati dalle bombe e dalla fame, il navigare utopico della Global Sumud Flotilla e l’operato ostinato e infaticabile di Francesca Albanese che tutti noi dovremmo proteggere.
Chiara Cipolla, docente
“[…] sempre l’ignoranza fa paura ed il silenzio è uguale a morte.”