Nato a Cinisi nel 1948 da una famiglia legata fortemente alla cosca locale, Peppino Impastato, ancora giovanissimo, rompe con le logiche e le pratiche mafiose del padre avviando un percorso politico e culturale di opposizione alla mafia.
Frequenta il Liceo Classico di Partinico e arriva alla politica nel ’65. Risalgono a quegli anni il suo avvicinamento al PSIUP e le lotte insieme ai contadini contro gli espropri e la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo. Assieme ad altri giovani fonda un giornale, “L’Idea socialista”. Nel marzo del 1967 partecipa alla “Marcia della protesta e della pace” organizzata da Danilo Dolci, che lascia un notevole segno nella sua formazione politica. Nel ‘73 aderisce a Lotta Continua e conosce Mauro Rostagno. Nel 1975 è tra gli organizzatori del Circolo “Musica e Cultura”, un’associazione di promozione culturale che diventa il principale punto di riferimento por i giovani di Cinisi.
Attraverso i microfoni di “Radio Aut”, radio libera fondata a Terrasini nel 1977 insieme ad un gruppo di giovani militanti della sinistra rivoluzionaria, Peppino denuncia senza riserve il potere mafioso, attacca il capomafia Gaetano Badalamenti, i cui affari ed i cui traffici sono possibili grazie alle collusioni e alle complicità della politica e dei partiti locali. Senza paura vengono diffuse radiofonicamente le trame del potere politico-mafioso, conducendo una satira feroce e senza riserve nei confronti dei notabili più in vista del periodo.
Nel 1978 si candida alle elezioni comunali nella lista di Democrazia Proletaria. Viene fatto esplodere con una carica di tritolo posta sui binari della linea ferrata Palermo-Trapani la notte tra l’8 e il 9 maggio 1978, pochi giorni prima delle elezioni, dopo essere stato selvaggiamente picchiato.
Sono state le attività di militanza rivoluzionaria e di controinformazione le cause della sua “condanna a morte” decisa dal boss Gaetano Badalamenti.
Per le autorità la “verità” era scontata ed a partire da questa “verità” ha avuto avvio un criminale processo di depistaggio: Peppino, a detta degli inquirenti, sarebbe stato un maldestro attentatore rimasto ucciso dalla bomba con cui si accingeva a compiere un attentato sulla linea ferroviaria. Addirittura una lettera scritta da Peppino in un momento di scoramento fu usata per legittimare la tesi del suicidio. A lungo gli inquirenti si rifiutarono di vagliare e verificare la pista mafiosa.
Solo grazie all’attività dei compagni di Peppino, di mamma Felicia, del fratello Giovanni e del Centro siciliano di documentazione viene individuata la matrice mafiosa del delitto e sulla base della documentazione raccolta e delle denunce presentate viene riaperta l’inchiesta giudiziaria che ha portato al processo contro Palazzolo e Badalamenti, conclusosi nel 2001 con la condanna dei due imputati.