La ‘Ndrangheta in Lombardia: il maxi-processo “Infinito”
Federica Ghisleni ci ha inviato un suo articolo molto interessante sui processi che riguardano le infiltrazioni della ‘ndrangheta in Lombardia.
La pervasiva presenza delle associazioni di stampo mafioso in Lombardia non costituisce certamente una novità per la procura di Milano né per i pochi giornalisti addetti ai lavori: a partire dagli anni ’50 fino ad arrivare ai giorni nostri, la mafia è infatti arrivata al Nord, ha messo radici e ha assunto una posizione di rilievo nel mondo dell’economia, spesso anche grazie al sostegno di imprenditori lombardi compiacenti. Sconcerta tuttavia che, nonostante l’impressionante numero di inchieste, – come ad esempio il celebre “Blitz di San Valentino” del 1983 o le più recenti “Cerberus” e “Parco Sud” – di arresti e di processi ad esponenti dei clan, i rappresentanti delle istituzioni cittadine abbiano più spesso negato o nella migliore delle ipotesi minimizzato l’esistenza delle associazioni mafiose. L’esempio più celebre è senza dubbio quello del prefetto milanese Gian Valerio Lombardi che, nel 2000, dichiarò “A Milano la mafia non esiste”. [1. Notizia disponibile al seguente indirizzo: Il prefetto: a Milano la mafia non esiste ]
Segnali positivi giungono finalmente dalla nuova amministrazione comunale guidata dal sindaco Giuliano Pisapia, impegnata da mesi nel partecipato e vivace dibattito relativo all’istituzione di una Commissione antimafia [02] che vigili sulle possibili infiltrazioni di gruppi criminali negli appalti relativi ad Expo 2015. Tale scelta si è resa assolutamente necessaria anche a seguito agli arresti del 13 luglio 2010: più di 160 presunti affiliati alla ‘ndrangheta sono infatti stati sottoposti alla misura della custodia cautelare in carcere nell’ambito della più grande indagine condotta nei confronti dell’associazione mafiosa di carattere ‘ndranghetista stanziata sul territorio lombardo.
L’operazione “Il Crimine”
L’operazione denominata “Il Crimine”, che ha comportato l’arresto di 280 soggetti, di cui 160 solo in Lombardia, riunisce diverse indagini, tra cui “Patriarca” (condotta dalla Procura di Reggio Calabria), “Tenacia” e “Infinito” (condotte dalla Procura di Milano). Hanno collaborato con la dott.ssa Ilda Boccassini diversi magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia milanese, tra cui Alessandra Cecchelli, Alessandra Dolci, Paolo Storari, il collega di Monza Salvatore Bellomo e presso la procura reggina Nicola Gratteri, Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino.
L’immagine che ne esce è la fotografia inedita della ‘ndrangheta del terzo millennio: la criminalità calabrese si è data una “cupola”, detta «Provincia» o «Crimine», retta da un capo supremo. Secondo gli inquirenti quest’ultimo sarebbe Domenico Oppedisano, detto “Don Mico”, arrestato nel blitz dello scorso luglio. Era stato nominato “capo-crimine” nel settembre del 2009, in occasione della festa della Madonna di Polsi, ma non disponeva del potere di prendere autonomamente delle decisioni; la sua si trattava piuttosto di una figura super partes individuata anche in base all’età e all’esperienza. A lui, in sostanza, spettava il compito di dirimere i contrasti che potevano sorgere in seno alle varie ‘ndrine e di mantenere quell’equilibrio labile che ha portato la ‘ndrangheta ad essere l’organizzazione mafiosa più pericolosa al mondo, leader del narcotraffico internazionale.
Al “Crimine” corrispondono tre diversi mandamenti: il Centro (cui appartiene la città di Reggio Calabria), Ionica e Tirrenica. Ogni mandamento è formato dalle locali, ed ogni locale è composta a sua volta da più ‘ndrine, ossia famiglie che possono contare su almeno una decina di affiliati. Per poter creare queste articolazioni, si legge del decreto di fermo dell’operazione “Crimine”, «non può mancare l’assenso di San Luca», che di solito è concesso durante il vertice annuale che si tiene all’inizio di settembre presso il Santuario della Madonna di Polsi [03].
L’inchiesta “Infinito”
Il ramo milanese dell’operazione “Crimine”, denominato dagli inquirenti “Infinito”, è una lunga e complessa indagine condotta essenzialmente dall’Arma dei Carabinieri, in particolare dal Nucleo Investigativo del Gruppo Carabinieri di Monza, con alcuni apporti investigativi di altri servizi di Polizia Giudiziaria.
I risultati raggiunti dalle indagini sono stati di eccezionale rilievo, forse senza precedenti, in punto di aggiornamento e approfondimento della conoscenza del fenomeno ‘ndrangheta.
Per quanto concerne la regione Lombardia, in particolare, secondo gli inquirenti risultano operare 16 locali [04] nei seguenti comuni: Milano, Cormano, Bollate, Bresso, Corsico, Legnano, Limbiate, Solaro, Pioltello, Rho, Pavia, Canzo, Mariano Comense, Erba, Desio e Seregno [05]. In quattro anni di indagini si ha la notizia di oltre quaranta summit organizzati nei dintorni di Milano, a volte finalizzati all’assegnazione di doti [06].
L’elemento di maggior rilievo emerso dalle indagini è costituito dalla conferma dell’esistenza di un’autonoma struttura di livello intermedio, denominata “Lombardia” dagli indagati, i cui rapporti con la Calabria non sono di facile interpretazione. L’esistenza di tale struttura di coordinamento delle locali lombarde era emersa già nell’indagine “Nord-Sud”, grazie alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Saverio Morabito [07] e nell’indagine calabrese “Armonia”, nella quale si dà conto di una lunga conflittualità tra la “Lombardia” e la “casa madre”, poiché gli esponenti di vertice delle cosche calabresi si sarebbero rifiutati per lungo tempo di riconoscere identico valore alle doti degli affiliati delle locali originarie rispetto a quelle di cui venivano insigniti gli affiliati lombardi. In sostanza, la Calabria avrebbe per lungo tempo tenuto in soggezione la “Lombardia” come una sorta di colonia.
Uno degli ultimi responsabili della Lombardia è stato individuato dagli inquirenti nella persona di Carmelo Novella, detto “Compare Nuzzo”, esponente di spicco della cosca Gallace di Guardavalle. Inserito nel 2004 nella lista di persone da arrestare per associazione mafiosa nell’ambito dell’indagine “Mythos”, coordinata dalla DDA di Catanzaro, Novella riesce a fuggire; dopo 5 mesi di latitanza viene catturato ma a causa della decorrenza dei termini viene scarcerato e torna in Lombardia. Qui inizia a maturare il suo progetto “secessionista” volto a rendere le locali lombarde autonome rispetto a quelle calabresi di riferimento e dipendenti dall’organo intermedio Lombardia e dal suo capo, cioè se stesso [08]. Si tratta indubbiamente di un progetto rivoluzionario poiché destinato a far venir meno uno dei cardini su cui si fonda il sistema ‘ndrangheta ossia la sovranità della singola locale, e volto altresì a recidere il “cordone ombelicale” tra la madrepatria calabrese e le sue affiliazioni al Nord.
Un simile progetto non poteva che trovare l’opposizione della “madrepatria”, dei capi lombardi con i più stretti legami con il paese d’origine e degli anziani di lungo corso [09]; l’avversione maturata nei suoi confronti emerge chiaramente da una conversazione tra Domenico Oppedisano e Nicola Gattuso. Quest’ultimo afferma: “Questo Novella sta facendo lo schifo, compare Mico”; Oppedisano concorda e dice che Novella “sta dando cose”, cioè cariche, a iosa, cosa che nella loro ottica è certamente da considerarsi inopportuna ed esecrabile [10].
Il 14 luglio 2008 Carmelo Novella viene ucciso da due killer a volto scoperto presso il bar “Il circolino” di San Vittore Olona, in provincia di Milano. In seguito alle indagini effettuate e grazie alle dichiarazione rilasciate dal collaboratore di giustizia nonché ex affiliato Antonino Belnome, reo confesso dell’omicidio e già condannato in primo grado alla pena di 11 anni e 6 mesi [11], è stato interamente ricostruito il contesto all’interno del quale è maturato l’omicidio, e sono stati individuati il movente, i mandanti e gli esecutori materiali dello stesso.
Nell’epoca immediatamente successiva all’omicidio si apre il problema della successione; già ad agosto avanzano lo loro candidatura Vincenzo Mandalari e Cosimo Barranca [12], ed entrambi cercano di acquisire l’appoggio degli “anziani”. Nell’autunno del 2008 gli inquirenti registrano tutta una serie di conversazioni che vertono sul tema della “successione” e viene documentato l’infittirsi degli incontri tra i principali affiliati alla Lombardia.
Il 15 settembre viene registrata un’importante conversazione a bordo dell’auto di Vincenzo Mandalari; l’affiliato Pietro Francesco Panetta lo informa di aver sentito, quando si trovava in Calabria, che la Provincia stava lavorando per istituire una “camera di passaggio”:“A breve qua la Provincia manderà cristiani qua sopra ad aprire una camera di controllo, una camera di passaggio come quella che c’era a Magenta (…)”. Dalle numerose conversazioni intercettate si evince come, dopo l’omicidio Novella, la Provincia calabrese abbia ripreso il controllo della Lombardia adottando una soluzione di transizione: ciò spiega il significato della “camera di passaggio” o di controllo che, secondo l’accezione dei due boss, dovrebbe essere una specie di unità di crisi con il compito di traghettare l’organizzazione lombarda fuori dall’emergenza; ciò che conta è prendere tempo fino a che gli animi non siano pacificati e le aspirazioni lasciate da parte.
Il “traghettatore” di questa prima fase viene individuato in Giuseppe “Pino” Neri, detto “l’Avvocato” a causa della laurea in giurisprudenza conseguita all’università di Pavia. È proprio Neri a presiedere il celebre summit del 31 ottobre 2009 tenutosi al circolo “Falcone e Borsellino” di Paderno Dugnano, interamente ripreso dalle telecamere degli inquirenti e di eccezionale importanza poiché consente di seguire “in diretta” l’elezione del referente del Nord Italia, designato nella persona di Pasquale Zappia [13].
Il processo
Il 15 dicembre 2010, in una conferenza stampa congiunta dei magistrati di Milano e di quelli di Reggio Calabria tenutasi al Palazzo di Giustizia, è stata annunciata la possibilità di un maxi-processo proprio a Milano. I pubblici ministeri, tramite le parole del procuratore aggiunto Ilda Boccassini, hanno chiesto di procedere con il giudizio immediato per i soggetti sottoposti alla custodia cautelare il 13 luglio 2010. Il procuratore Pignatone ha sottolineato come l’inchiesta sia nata dalla stretta e fondamentale collaborazione tra i due capoluoghi: “La sinergia è del resto la carta vincente per sconfiggere un’organizzazione come la ‘ndrangheta che ha capacità espansiva in molti territori, nel Nord Italia, ma anche in Svizzera, in Germania, in Olanda, in Canada e Australia”. Durante la conferenza stampa Ilda Boccassini, che ha coordinato l’operazione “Crimine”, ha lanciato un allarme sull’omertà degli imprenditori lombardi: “Nonostante il maxi-blitz che nel luglio scorso ha portato a decine di arresti tra Milano e Reggio Calabria, nel capoluogo lombardo gli imprenditori non denunciano di essere vittime di episodi di estorsione e usura. A Milano non risultano denunce di imprenditori. Non possiamo immaginare che, dopo l’operazione “Crimine”, i fenomeni di estorsione e usura siano stati eliminati.
Nonostante l’operazione di luglio e gli interrogatori di persone che hanno ammesso i fatti, non ci stanno pervenendo denunce. Questo è un dato sintomatico di cui dobbiamo prendere atto. Non abbiamo davanti alla porta una serie di persone che chiedono di parlare con noi e denunciare usure, danneggiamenti, incendi, strane sparizioni nei cantieri che, pure, sappiamo esistono ancora, perché le stiamo monitorando. Dobbiamo cercare di capire perché nessun imprenditore denuncia” [14].
Il processo si è successivamente diviso in due tronconi, poiché 119 soggetti hanno optato per il giudizio abbreviato mentre i restanti hanno scelto il giudizio ordinario; quest’ultimo ha preso il via lo scorso 11 maggio e, ad oggi, non è ancora concluso.
Nel corso delle prime udienze il tema più dibattuto dalle difese è stato quello della presunta incompetenza territoriale del Tribunale di Milano. Secondo i legali, infatti, non esisterebbe in Lombardia un’associazione di tipo mafioso coesa e autonoma rispetto alla ‘ndrangheta calabrese, ma solo delle locali dipendenti dalla “madrepatria”. La sede del “vincolo associativo”, pertanto, a giudizio degli avvocati difensori, sarebbe Reggio Calabria o, eventualmente, le città lombarde in cui si manifestano le varie locali. Il PM Alessandra Dolci nel corso dell’udienza del 7 luglio ha replicato rilevando come in ben 150 pagine dell’ordinanza si trovi descritta la struttura intermedia denominata “La Lombardia” e come di questa facciano parte soggetti di origine calabrese che tuttavia possono vantare un periodo di residenza più che trentennale nella nostra regione, condizione quest’ultima che ha permesso il consolidamento di un’autonoma struttura criminale lombarda. Nonostante l’insistenza dei difensori il Tribunale ha emesso un’ordinanza con la quale ha respinto l’eccezione d’incompetenza territoriale; il Presidente Balzarotti ha spiegato che tutti gli imputati sono accusati di aver fatto parte dell’associazione Lombardia ed è perciò irrilevante il fatto che le locali mantengano collegamenti costanti con la “madrepatria” calabrese. Il luogo di consumazione del reato associativo previsto e punito dall’art. 416-bis è pertanto riconducibile al territorio di competenza del Tribunale di Milano.
Un altro tema ampiamente dibattuto è stato quello della costituzione delle parti civili; a colpire particolarmente, più che la presenza dell’avvocato rappresentante la Regione Calabria, è stata l’iniziale assenza della Regione Lombardia e quella del Comune di Milano.
Nel corso dell’udienza del 13 giugno le protagoniste sono state le associazioni della società civile quali la “Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane” presieduta da Tano Grasso e “SOS Impresa” di Confersercenti. Dopo l’iniziale assenza e le conseguenti polemiche, anche la Regione Lombardia si è costituita parte civile. Attualmente risultano costituiti la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell’Interno, il Ministero della Difesa, il Commissario straordinario antiracket, i Comuni di Bollate, Desio, Pavia, Seregno e la provincia di Monza e Brianza.
Proprio in relazione alle numerose parti civili presenti nel processo, l’avvocato Roberto Rallo, difensore di Pino Neri, ha “rispolverato” la celebre invettiva dei “professionisti dell’antimafia” di Leonardo Sciascia contro il giudice Paolo Borsellino, ospitata in prima pagina dal Corriere della Sera il 10 gennaio 1987. Secondo l’avvocato Rallo, infatti, “i nuovi professionisti dell’antimafia sono le associazioni antiracket che si costituiscono parte civile di processo in processo, da Reggio Calabria a Milano, anche se nessuno dei loro iscritti è stato materialmente danneggiato dagli imputati. Così facendo esse realizzano solo l’autoreferenzialità delle loro associazioni, spendendo tra l’altro soldi pubblici”. Tano Grasso ha così replicato alla polemica sollevata dall’avvocato Rallo: “A parte che la FAI non prende contributi pubblici, ormai da vent’anni le associazioni si costituiscono ai processi. Noi tuteliamo un interesse diffuso, quello della libertà d’impresa. All’avvocato di Neri direi questo: è importante che noi ci siamo proprio perché anche al Nord le vittime dirette non denunciano e non vanno in tribunale, salvo rari casi. E questo dimostra la forza del vincolo omertoso che vogliamo spezzare”. In relazione a quest’ultimo aspetto è necessario sottolineare l’importanza della presenza in sede processuale di associazioni come “SOS Impresa” e la FAI, poiché, come ha più volte ricordato la dott.ssa Boccassini, uno dei problemi fondamentali della Lombardia è proprio l’assenza di denunce da parte degli imprenditori sottoposti ad estorsione e dei cittadini usurati; tale clima di omertà contribuisce certamente a rafforzare le associazioni presenti sul nostro territorio.
In seguito alla pausa estiva il 23 settembre le udienze sono riprese nell’aula bunker di Piazza Filangieri: nel corso dell’ultima è iniziata l’escussione del primo teste indicato dall’accusa, il Tenente Colonnello Roberto Fabiani, responsabile del coordinamento delle indagini nel Nucleo Operativo dei Carabinieri di Monza. Nella sua deposizione egli ha cercato di ricostruire sommariamente l’inizio e lo sviluppo dell’indagine “Infinito”, le tecniche investigative utilizzate ma soprattutto ha fornito una panoramica della terminologia della ‘ndrangheta, spiegando ai giudici il significato di numerosi termini emersi dalle oltre 68.000 ore di intercettazioni acquisite. Nel corso delle udienze fissate nei prossimi mesi, il dibattimento entrerà nel vivo e mostrerà le varie strategie difensive poste in essere dai legali dei presunti boss.
Di certo nessuno potrà più dire, come ha fatto non molto tempo fa il Prefetto Lombardi “A Milano la mafia non esiste”.
[01] Notizia disponibile al seguente indirizzo: http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/10_gennaio_22/prefetto-
milano-mafia-non-esiste-lombardi-maroni-1602329198462.shtml
[02] Le dichiarazioni del sindaco Giuliano Pisapia sulla Commissione antimafia sono disponibili al seguente indirizzo:http://www.youtube.com/watch?v=mOoeC8y1Bo8
[03] M. PORTANOVA, G. ROSSI, F. STEFANONI, Mafia a Milano, sessant’anni di affari e delitti, Ed. Melampo, Milano 2011, p.443.
[04] La (o il) locale è la principale struttura organizzativa della ‘ndrangheta; essa non necessariamente coincide con unaprecisa zona geografica in quanto all’interno dello stesso comune vi possono essere più locali. Più ‘ndrine nella stessa
zona possono formare la locale che per la sua nascita necessita di almeno 49 affiliati; ogni locale ha un proprio capo, il
capo locale, che ha potere di vita e di morte su tutti, un contabile, che gestisce le finanze, ed in particolare gestisce la
cd. bacinella o bacinetta o valigetta, e un crimine, che governa le attività illecite. Le tre cariche appena riferite (cariche
da non confondere con i gradi) formano la cd. Copiata, terna di nomi che allorquando un affiliato si presenta in una
“locale” diversa da quella di appartenenza (una sorta di codice per il riconoscimento) o quando gli viene richiesto da un
affiliato di grado superiore deve ripetere.
[05] Ordinanza di custodia cautelare in carcere Tribunale di Milano, 5 luglio 2010, Gip Andrea Ghinetti, p. 64. [06] «La dote può essere definita come un valore di merito che si conferisce ad un affiliato, e man mano che questo valoreaumenta, aumenta la dote stessa, in quanto si passa da un grado ad un altro», N. GRATTERI, A. NICASO, Fratelli di
sangue: la ‘ndrangheta tra arretratezza e modernità, Ed. Pellegrini, 2006, p. 235.
[07] Per conoscere in maniera più approfondita il contenuto delle dichiarazioni rilasciate nei lunghi anni di collaborazionecon la giustizia di Saverio Morabito, si consiglia la lettura del libro di P. COLAPRICO e L. FAZZO, Manger calibro 9.
Vent’anni di criminalità a Milano nel racconto di Saverio Morabito, Ed. Garzanti.
[08] Per un approfondimento sulla figura di Carmelo Novella e sul suo progetto autonomista si veda E. CICONTE,‘Ndrangheta padana, Ed. Rubbettino, Soveria Mannelli, 2010.
[09] Ordinanza di custodia cautelare in carcere Tribunale di Milano, 5 luglio 2010, Gip Andrea Ghinetti, p. 68. [10] Decreto di fermo di indiziato di delitto della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria,Procuratore Aggiunto Dr. Giuseppe Pignatone, p. 410.
[11] Notizia disponibile al seguente link: [12] Secondo gli inquirenti il primo sarebbe il responsabile della locale di Bollate mentre il secondo di quella di Milano nonché membro di vertice dell’organo Lombardia. [13] Il video del summit è consultabile al sito: http://tv.repubblica.it/cronaca/ndrangheta-il-summit-nell-aula-falcone-
ripreso-dai-carabinieri/50472/49898; la trascrizione integrale del discorso di Pino Neri è disponibile alla pag. 425 del
decreto di fermo di indiziato di delitto della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, Direzione
Distrettuale Antimafia del 5 luglio 2010.
[14] Le parole dell’intervento del procuratore aggiunto Ilda Boccassini sono tratte dal seguente articolo:
milanesi/82080. Il tema dell’omertà degli imprenditori lombardi è stato ripreso dal procuratore aggiunto Boccassini
anche nel corso di un partecipatissimo incontro avvenuto lo scorso 4 maggio presso la facoltà di giurisprudenza
dell’Università degli Studi di Milano; durante il seminario, organizzato con la collaborazione dell’associazione Libera, il
PM ha infatti dichiarato: “Per un anno e mezzo ho chiesto di essere informata giorno per giorno su incendi e
danneggiamenti, betoniere che andavano a fuoco, capannoni distrutti, colpi di pistola contro assessori o messi
comunali, episodi concentrati in zone ben precise. Nessuno dei danneggiati ha mai fornito alle forze dell’ordine il
minimo indizio, nessuno ha mai ammesso di avere ricevuto minacce”.
[1. This is a footnote.]