Fermato a Bangkok il boss Vito Roberto Palazzolo. Si va verso l’estradizione in Italia.
Le origini
Vito Roberto Palazzolo è stato fermato all’aeroporto di Bangkok: si tratta di uno dei grandi boss sino ad oggi in libera circolazione. E’ nato il 31 luglio 1947 a Terrasini, un paese di mare a due passi da Cinisi e legato ad esso per tutte le vicende di mafia, ma anche di antimafia, che caratterizzano il territorio. Terrasini è il paese sotto il controllo mafioso dei D’Anna, (detti “Narduna”), imparentati e legati da sempre al clan Badalamenti, usciti indenni o quasi, sia dalle guerre di mafia che dalle varie operazioni delle forze dell’ordine. Il territorio costituisce una sorta di zona grigia in cui hanno trovato ospitalità e agito nell’ombra, indisturbati, mafiosi come Bernardo Provenzano, Totò Riina, Calogero Ganci, Salvatore e Sandro Lo Piccolo, e persino i Fardazza-Vitale di Partinico. Ma il paese è stato anche sede di Radio Aut, la radio di Peppino Impastato e dei suoi compagni. In questo contesto Vito, che poi ha aggiunto al suo nome originario quello più pomposo di Roberto, è cresciuto orfano del padre, nella casa del nonno Pietro Palazzolo. Costui, detto Pitrinu “u Dannatu” rappresentò, negli anni ’50 e ’60, una strana figura di bandito, responsabile di una catena di omicidi, arrestato dopo una lunga latitanza, nel corso della quale si guadagnò il “rispetto” e l’ammirazione dei suoi conterranei per la sua audacia, la capacità di spostamenti rapidi, di atteggiarsi a paladino delle ingiustizie e risolvere senza scrupoli i casi di chi si rivolgeva a lui per aiuto: dopo avere scontato lunghi anni di carcere, ultraottantenne fu liberato per buona condotta.
Una testimonianza
Ho trascorso con Vito alcuni momenti della mia adolescenza, perché eravamo vicini di casa. Frequentò la scuola media a Cinisi nella stessa classe di Peppino Impastato. Lo chiamavamo “Vitu u Pallunaru”, data la sua non comune abilità di raccontare “palle”, cioè frottole spesso incredibili. Lo persi di vista verso la metà degli anni ’60, quando si trasferì in Germania, ad Amburgo, dove studiò commercio e dove sposò una cittadina tedesca, dalla quale ebbe due figli. Secondo il pentito Rosario Giaimo, per gli amici Saruzzu, originario anche lui di Terrasini, che dallo scorso ottobre ha iniziato a collaborare con i giudici svelando significativi episodi di oltre 40 anni di mafia, nel 1984 in Germania, a Solingen, Vito Palazzolo avrebbe ucciso un nipote di Gaetano Badalamenti, per conto di Riina e Provenzano, dimostrando di avere anche lui fatto, come tanti soldati dell’esercito di don Tano, il grande salto nelle schiere dei suoi nemici. Ricercato, si sarebbe rifugiato in Svizzera, dove venne arrestato e condannato a tre anni per presunte illegalità commesse sia negli Stati Uniti che in Svizzera, nella sua qualità di responsabile di una compagnia finanziaria. E’ proprio in questo periodo che divenne oggetto d’indagine del giudice Falcone, il quale lo sospettò di essere il banchiere della mafia legato a Totò Riina e a Bernardo Provenzano.
Nel 1996 sua sorella sposò un certo Vito Motisi, che fu il fondatore della sezione di Forza Italia a Terrasini e il promotore della candidatura di Gianfranco Miccichè al consiglio comunale, dove venne eletto con l’appoggio dei D’Anna. Ma a quel tempo Vito era ormai molto lontano.
Quando trasmettevo a Radio Aut (1978) Pitrinu u Dannatu era stato rilasciato da poco e si atteggiava a patriarca della zona. Qualche mese dopo la morte di Peppino Impastato mi venne a cercare un, diciamo “amico”, che suonava la fisarmonica: -“Ho bisogno di un favore. Sai, la persona con cui suono abitualmente sta male e non può venire. Prendi subito la chitarra e vieni a suonare con me,” – “Ma dove?” – “Non ti preoccupare, sarai pagato bene”. Così ci arrampicammo, in macchina, sulla montagna di Cinisi, sino ad arrivare in un posto sperduto, ma fornito di una stradella asfaltata da poco. Arrivammo presso una casetta con un grande spiazzo in cemento coperto da una tettoia in vimini: c’erano noleggiati due pullman dell’Hotel Saracen, da dove erano scesi un centinaio di turisti americani. Tra un “Ciuri ciuri” e un “Vitti na crozza” venne servito ai turisti un bicchiere di vino, accompagnato da una ficodindia. In un certo momento l’amico mi dice: “Fermati. Attacca a suonare “Il padrino”. Comincio e ti vedo uscire don Pitrinu u Dannatu, con la sua grande mole, fucile alla spalla, coppola, stivaloni, gilet e pantaloni di velluto. Una stretta di mano e così i turisti avrebbero potuto raccontare di avere visto un autentico mafioso al prezzo, allora non modico, di 25.000 lire a cranio. Mentre tutti stavano andando via, don Pitrino mi guarda e, malgrado non ci vedessimo da oltre trent’anni, mi riconosce: “Ma tu nun si u figghiu di Vicenzu?” – “Sì” –“E vinisti a sunari cà pi mia?” –“Sì” “- Chisti su cosi can un si scordanu” . Qualche giorno dopo, tornato a Radio Aut, penso di dar vita a una nuova trasmissione, con una struttura simile e, a un tempo diversa da “Onda pazza”, che ritengo morta con Peppino. La chiamo “La stangata”. E’ il primo numero: riproduco in radio tutto l’accaduto, musiche comprese, sino ad arrivare al momento finale, quando impersono don Pitrinu e un turista mi chiede: “Your name?”. Smorfiando in pessimo inglese gli rispondo: “Merda”, che è la trascrizione siciliana di “murder”.
L’impero sud-africano
Il 26 dicembre 1986, usufruendo di un permesso di 36 ore concesso da un carcere elvetico, dov’era detenuto per riciclaggio, Vito fugge dalla Svizzera e si rifugia in Sud Africa, sbarcando all’aeroporto di Johannesburg con un passaporto falso intestato a un certo Stelio Domenico Frapolli. Lì si costruisce una nuova identità assumendo il pomposo nome di Robert von Palace Kolbatschenko: questo cognome, a suo dire, era quello di una sua bisnonna, principessa russa. In verità questa è l’ennesima “balla” del faccendiere terrasinese, i cui parenti hanno tutti una precisa identità siciliana. Grazie alla sua intraprendenza e anche a un sapiente riutilizzo di capitali mafiosi, provenienti prima dai traffici illegali di Gaetano Badalamenti, poi da quelli di Riina e Provenzano, Vito costruisce un vero e proprio impero finanziario. Tra le varie attività c’è la gestione di sorgenti idriche da cui viene imbottigliata l’acqua denominata “Eau de vie” , fornita, in esclusiva, alla compagnia aerea di bandiera “South African Airways”; ma c’è anche la creazione di un istituto di sicurezza personale denominato “The security”, formato da cittadini russi e marocchini, la proprietà di un grande allevamento di struzzi da riproduzione e di una esclusiva riserva di caccia frequentata da facoltosi personaggi locali; inoltre ha interessi in Angola nella società denominata “RCB Corporation L.d.a.”, che si occupa dello sfruttamento minerario del terreno per l’estrazione di pietre preziose; e’ titolare della “Von Palace Diamond Cutters” importante società dedita al taglio di diamanti ed è in stretti rapporti d’affari con il conte Riccardo Agusta, figlio di Corrado, ex magnate degli elicotteri, al quale avrebbe venduto, verso la fine del 1999, le sue proprietà, di cui si è fatto nominare amministratore del patrimonio grazie ad un contratto da “consulente”, il tutto per aggirare una legge approvata nel gennaio del 2000 dal Parlamento sudafricano, che permette la confisca dei beni a chi è riconosciuto membro della criminalità organizzata. Nel suo feudo di Franschhoek, al confine tra la Namibia e il Sudafrica con tanto di pista d’atterraggio per gli aerei, Vito conduce una vita principesca tra ville con piscine, schiere di negri al suo servizio, circondato da imprenditori internazionali e da politici nazionali legati direttamente al governo di Nelson Mandela. In seconde nozze ha sposato una cittadina israeliana naturalizzata sudafricana, Tsirtsa Grunfeldt. Inoltre hanno trovato ospitalità presso di lui boss come Mariano Tullio Troia, uno dei mandanti dell’omicidio del proconsole andreottiano in Sicilia Salvo Lima, e i mafiosi Giuseppe Gelardi e Giovanni Bonomo, i quali, secondo Palazzolo, non sarebbero stati latitanti quando erano suoi ospiti, per organizzare un commercio dei suoi vini dal Sud Africa all’Italia.
I conti con la giustizia italiana
Nel marzo 2009 l’Alta Corte in Italia ha confermato in via definitiva la sentenza di 9 anni di carcere, emanata nel 2006, per collusione con la mafia. Il suo nome è inserito nella lista dei trenta super ricercati del ministero dell’Interno. I suoi dati compaiono nella scheda numero 15. Palazzolo – sostennero all’epoca i pm di Palermo Domenico Gozzo e Gaetano Paci – è una delle più importanti figure di Cosa nostra da almeno venti anni con importanti funzioni di cerniera tra il mondo imprenditoriale e la mafia».
Secondo il legale di Palazzolo, Baldassare Lauria, Palazzolo è stato espulso dalla Thailandia per essere estradato in Italia, e tale decisione dovrebbe essere presa a breve da un giudice dell’ufficio immigrazione thailandese. Il legale si è opposto perché Palazzolo ha la cittadinanza sud-africana, ma con altra identità, e in questo paese l’Alta Corte di giustizia nel 2010 si è detta contraria alle varie richieste di estradizione inviate dall’Italia, perché lì non esiste il reato di concorso in associazione mafiosa per il quale il boss è stato condannato. A contestare la ventilata estradizione in Italia è arrivato, da Johannesburg nientemeno che l’ambasciatore del Sud Africa per chiederne il rientro nel paese di cui Palazzolo-Kolbathschenko sarebbe cittadino.
Palazzolo aveva lasciato il Sud Africa nel passato gennaio per un lungo viaggio, non si sa se di piacere, o com’è più probabile, per curare i suoi molteplici affari. A fine febbraio, un fax urgente dell’Interpol diretto alla Procura di Palermo ha riaperto per l’Italia la possibilità di acciuffare il boss e fargli scontare la pena: “Il latitante Vito Roberto Palazzolo è partito dal Sudafrica assieme alla moglie e si è stabilito ad Hong Kong”, recitava la nota riservata. La polizia di Bangkok, allertata da quella italiana, che ne seguiva gli spostamenti, lo ha fermato mentre era in transito all’aeroporto con l’ennesimo passaporto falso. Secondo alcune indiscrezioni il boss sarebbe stato tradito da un confidente, che ha svelato all’Interpol il suo ultimo viaggio. Si parla anche di un controllo attraverso il profilo Facebook suo e dei suoi familiari. Palazzolo ha sempre proclamato la sua innocenza e si ritiene vittima, come ha detto in una recente intervista, di “servizi deviati, mafiosi infiltrati, confidenti dei servizi di sicurezza ed intelligence, personaggi ben inseriti nelle istituzioni. Non accuso la Procura di Palermo… preferisco credere che sia sempre stata in buona fede. Preferisco pensare che i magistrati siano stati manipolati e manovrati da forze oscure”. Il boss ritiene che in Italia ci siano ancora molti residui di fascismo, ma ha espresso anche voglia di ritornare: ci sono buone possibilità che sia accontentato e che resti nelle patrie galere per i prossimi nove anni, abbandonando il lusso nel quale ha sinora nuotato.
(Salvo Vitale)