MMT: Modern Money Theory – Un reportage dal Meeting di Rimini
In un’epoca dominata dalla “crisi” e caratterizzata da un deficit democratico nei paesi europei e dal fallimento del sistema economico finanziario-capitalistico ci è sembrato molto interessante poter partecipare all’ iniziativa voluta e promossa dal giornalista Paolo Barnard: un summit durato più di 2 giorni sul sistema economico attuale e sulle teorie economiche neokeynesiane che si propongono di riportare l’intervento dello stato al centro delle politiche economiche attraverso una oculata politica monetaria.
L’ intero evento è stato organizzato e finanziato dagli stessi partecipanti (per iscriversi bisognava fare un versamento di € 40) e, poiché è stato pensato come evento unico per tutta l’Italia il luogo del summit (Rimini) è stato scelto dagli organizzatori (volontari) perché facilmente raggiungibile e perché fornito di strutture ricettive. Moltissimi partecipanti, infatti, hanno dovuto anche sobbarcarsi le spese per raggiungere Rimini e le spese per pernottare almeno 2 notti per poter seguire l’intero Summit; questo è un dato importante se consideriamo il periodo di crisi e l’ estrazione sociale media degli iscritti. Studenti universitari, piccoli artigiani, operai, impiegati con contratti atipici, disoccupati, tassisti, coltivatori diretti e tante altre categorie del ceto medio-basso si sono dati appuntamento a Rimini con la convinzione che il sistema politico-economico vigente abbia fallito e con la voglia di cercare soluzioni alternative seguendo le proposte di cinque economisti che hanno tenuto lezioni e dibattiti sulla Modern Money Theory (MMT).
Altro dato importante, considerata la buona riuscita dell’ evento (2000 partecipanti paganti secondo il promotore Paolo Barnard), è l’ assoluta mancanza di copertura da parte dei media mainstream sia prima che dopo l’evento. Solo “il Fatto Quotidiano” online ha dedicato un articolo all’evento dopo che lo stesso si era già svolto.
Ma cosa ha portato circa 2000 persone diverse per età, impiego, provenienza geografica, e anche orientamento politico, a riunirsi a spese proprie per seguire 2 giorni di lezioni di economia monetaria?
Le risposte possono essere molteplici: voglia di democrazia partecipata, diffidenza verso la politica (o meglio “verso i politici”), disamore per i mezzi di informazione troppo spesso asserviti al potere dominante, desiderio di riappropriarsi di uno strumento di vera democrazia: la conoscenza. Nei partecipanti al summit è viva la convinzione che i mezzi di comunicazione ci riempiono la testa di dati e termini tecnici senza mai spiegarci i veri meccanismi e quali strumenti la politica potrebbe adoperare per evitare le cicliche crisi che costringono i cittadini a rinunciare volta per volta ai loro diritti acquisiti, ottenuti con anni di lotte e rivendicazioni. E così anche delle lezioni di macroeconomia sulla politica monetaria degli stati diventano un evento “rivoluzionario” agli occhi di molti per il solo fatto che, per una volta, semplici cittadini decidono di cercare le informazioni che non ricevono dal circuito “istituzionale” attraverso un canale alternativo, creato da loro, creato per loro.
Naturalmente nulla sarebbe stato realizzato senza la figura di Paolo Barnard che ha ideato e patrocinato l’evento. Il giornalista, co-fondatore di Report insieme alla Gabanelli, già inviato di guerra per la Rai e collaboratore di svariate testate è uscito dal circuito dei mainstream dopo aver pestato diversi piedi importanti ed essere entrato in conflitto con la stessa Gabanelli in merito alla copertura legale sui giornalisti che si dedicavano a scottanti reportage. Da allora Barnard si è ritagliato uno stretto ma crescente nucleo di lettori affezionati sulla rete, forte anche del fatto di essere una “voce fuori dal coro”, talmente “fuori” che non si fa scrupolo a fare oggetto delle sue invettive (sempre ben documentate) anche i giornalisti ritenuti più liberi come Giulietto Chiesa e Marco Travaglio. Proprio la disputa con Travaglio gli ha giovato una fama crescente tra i sostenitori della causa palestinese. Al conflitto Israelo-Palestinese (e al terrorismo in genere) Barnard ha dedicato il suo libro “Perchè ci odiano” ma è per l’ altro suo libro che Barnard è tanto seguito e ha ottenuto la fiducia di molti lettori in materia di economia politica: “Il più grande crimine”. Il libro è un saggio di una ottantina di pagine, scaricabile gratuitamente dal sito dell’autore e tratta in maniera dettagliata ma divulgativa dei passaggi cruciali che hanno portato le economie dei singoli stati europei a diventare appannaggio dei grandi istituti finanziari privati, con la connivenza dei partiti politici, chi per tornaconto, chi per ignoranza. Da destra a sinistra del panorama politico italiano ogni partito, movimento, federazione ha avuto la propria parte di responsabilità affinché si compiesse un “crimine”, cioè la perdita della sovranità politica in materia economica da parte dei cittadini. Da qui delocalizzazioni, flessibilità, riduzione dei diritti, privatizzazioni, liberalizzazioni etc. hanno portato la società occidentale moderna sull’orlo di una profonda crisi ma, soprattutto, i cittadini europei (ma anche statunitensi) in uno stato di perenne precarietà economica e quindi sociale.
Sulla base di parole d’ordine che invocano una democrazia partecipata dal basso, che si rifanno costantemente alla resistenza italiana, alle lotte sociali per i diritti dei lavoratori, a un “socialismo di stato” al servizio dei cittadini, Barnard è riuscito a scrollarsi di dosso i sospetti dei lettori più diffidenti, che da sinistra lo vedevano come un neofascista (per le continue critiche alla sinistra italiana e ai suoi uomini-simbolo) e da destra come un bolscevico o un agente segreto al servizio dei banchieri venuto a riformare il capitalismo.
Naturalmente entrambi gli estremi politici erano presenti al summit di Rimini (probabilmente in minima parte) ma non nascosti; lo si è visto da alcuni interventi dal pubblico e dalle diverse reazioni, entusiaste o meno, di sparuti gruppetti a proposte di carattere geopolitico come l’uscita dalla NATO o la sospensione delle spese militari. La maggior parte dei partecipanti era ascrivibile politicamente alla cosiddetta “società civile”: molte persone deluse dai relativi partiti di riferimento, molti attivisti di vario genere, alcuni iscritti a partiti ma venuti a partecipare senza l’avallo dei rispettivi leaders. Un folto numero era quello del Movimento 5 Stelle, che ha anche organizzato una riunione operativa nella pausa pranzo dell’ultimo giorno del summit. Alcuni di loro lamentavano un problema di “democrazia” all’interno del movimento, dovuto probabilmente a una leadership ingombrante, inesistente sulla carta, ma preponderante nella realtà. Forse anche per motivi come questo Barnard gode di un certo seguito e di una certa fiducia, perché si è sempre dichiarato contrario alla “Cultura della Visibilità”, ai personaggi che, una volta raggiunta la notorietà, fondano la loro personale “parrocchia” col loro seguito e i loro interessi. Un elemento caratterizzante dei suoi interventi (pubblici o via internet) è il continuo avvertimento a non cercare “salvatori” o “uomini forti” ma a farsi parte attiva e a lottare in prima persona senza delegare a nessuno la salvaguardia dei propri diritti. E probabilmente questa carta ha funzionato se circa 2000 persone hanno fatto un bonifico di 40 euro, ciascuno intestato a suo nome, “Paolo Rossi” (l’altro cognome, “Barnard”, non compariva), che oltre ad essere il destinatario del versamento era anche l’ unica garanzia.
Circa 2000 paganti, tutti venuti muniti di quaderni, block notes e apparecchi atti alla registrazione audiovisiva, per seguire ed eventualmente rivedere o pubblicare le lezioni dei cinque economisti ma, soprattutto, per capire cosa effettivamente questa MMT proponesse e in cosa differisse dalle altre teorie economiche.
Il lato tecnico-economicista si basa per stessa ammissione degli economisti intervenuti al convegno su una visione Keynesiana dell’economia. Loro infatti si definiscono post-keynesiani. Perché possa essere applicata la loro “ricetta” ci vogliono requisiti di fondo per gli stati. La moneta può essere, teoricamente e di fatto, o: 1) floating (“fluttuante, galleggiante” cioè non ancorata), oppure può essere 2) ancorata, come valore, ad altre valute. Ancorata, ad esempio, alla valuta di altre nazioni estere. Questo caso comporterà forti limiti nella spesa. Lo stato potrà spendere solo un quantitativo di denaro che possiederà anche nella corrispondente valuta straniera. L’esempio concreto può essere l’Argentina che prima del 2001 deteneva il proprio peso ancorato con rapporto 1:1 al dollaro statunitense. Ma la moneta può essere ancorata non solo ad altre valute ma anche ad altre tipologie di valori di riferimento. Come succedeva proprio con il dollaro americano, prima del 1971, con la parità aurea; gli USA (teoricamente) potevano spendere solo quanto possedevano in corrispettivo in oro detenuto nei forzieri della banca centrale. Questo non succedeva per motivi di potere politico del gigante americano e di fatto il governo si sentiva legittimato a spendere a suo piacimento: chi mai avrebbe reclamato il corrispettivo in oro? Detenere valuta USA schiudeva ogni porta in ambito di scambi internazionali! Prima che Nixon slegasse definitivamente il dollaro dall’oro, il governo USA aveva, sempre per salvare la faccia, allargato la possibilità di spesa a debito fino a quattro volte quanto posseduto in oro. Anche così però, mantenendo un “segreto di Pulcinella”, era chiaro a tutti che questa proporzione non veniva rispettata. Chi tiene la propria moneta ancorata ad altre valute, come anche succedeva per il rublo russo all’indomani della caduta del blocco sovietico -sempre con il dollaro -, per potere spendere ha bisogno di avere una eccedenza commerciale. Potrà così spendere per i cittadini solo quanto guadagna in più rispetto alla spesa. Ciò relega però le politiche degli stati a un insopportabile rapporto di sudditanza con il resto del mondo, che non è detto acquisti le sue merci. L’idea di fondo della MMT è che non bisogna dipendere da fattori esterni e che la moneta deve essere appunto floating, cioè avere un valore che fluttua, non fisso, rispetto a quello delle altre valute. Lo stato che non ha moneta ancorata ad alcunché ne controlla anche il tasso di interesse come ulteriore arma per stabilire le proprie politiche economiche. Abba Lerner, un contemporaneo di Keynes, sosteneva che lo stato, in virtù della possibilità di emettere moneta così come anche di distruggerla, nonché il potere di levare moneta ai cittadini a mezzo tassazione, si può permettere di tenere un tasso di spesa utile per l’ottenimento della piena occupazione. L’incontro fra Keynes e Abba Lerner, con la sua “finanza funzionale”, ha prodotto i presupposti del post-keynesismo, che è contraddistinto dall’obiettivo, appunto, di ottenere la piena occupazione, e tramite ciò rinfocolare l’economia reale grazie alla creazione di una ceto medio che consuma. Questo è stata una delle trattazioni della relatrice Stephanie Kelton. L’Italia, che ha il famoso deficit annuo attorno al 120% sul PIL, ogni anno -per capirci- guadagna qualcosa come 1550 miliardi di euro e ne spende circa 1850. La contrazione di diritti, soprattutto la fine del diritto ad un reddito di esistenza per milioni di cittadini, la stiamo vivendo perché il nostro ingresso in Europa, con la sottoscrizione dei vari trattati europei e l’accoglienza della moneta unica, ci ingabbia in un meccanismo che ci fa pagare sulla nostra pelle questo sbilanciamento nelle spese. In altre condizioni, per uno stato “sovrano”, questo sbilanciamento sarebbe la normalità, così come sarebbe la normalità quello che succedeva in Italia fino a una generazione fa: che grandi frange della popolazione avevano almeno un lavoro dignitoso, a prescindere dall’andamento della bilancia commerciale. È di questi giorni la notizia che il Giappone ha ripreso a crescere velocemente ed è uno stato che ha il deficit del 200% sul PIL. Questo è fantascienza per noi, anche con il nostro ridicolo deficit, visto che abbiamo sottoscritto, sotto il giogo europeo, anche il pareggio di bilancio per il 2013. Non sappiamo se è chiaro che macelleria potrà comportare sulla nostra pelle. Ora il dato politico della faccenda: il messaggio degli economisti presenti a Rimini è che l’euro è un esperimento politico, prima che economico, del tutto inedito: la nostra moneta non è ancorata ad alcunché ma comunque per gli italiani (e per chi ha sottoscritto l’ingresso nell’euro) rappresenta una moneta straniera. Non è una moneta sovrana, gli stati con l’euro prendono a prestito la moneta ai tassi di interessi decisi dal mercato e non hanno spazio per ogni manovra di politica economica. Questa moneta, incredibilmente presa a prestito totalmente dai mercati, indispensabile per ogni uso -qualsiasi!- di spesa statale, poi va ripagata a tassi da usura ai prestatori che hanno il potere di deciderne il tasso di interesse. Il famoso spread misura proprio questo: quanto dobbiamo ripagare il denaro prestatoci, percentualmente in più, in riferimento al tasso di interesse dei titoli tedeschi (cioè quanto la privilegiata Germania ripaga, a sua volta, il denaro a essa prestatole). In Grecia questo tasso -che definire a usura non rende appieno il concetto-, arrivava al 23%! Prima dell’avvento dell’euro, per affamare un paese e depredarne le risorse svendendo a privati stranieri le aziende nazionali -solo fino al giorno prima- più floride, bisognava invaderlo con un esercito (e prendersi la briga di occuparlo!) ora niente di tutto questo è necessario per i tecnocrati della commissione europea. Questo era il continuo spunto che arrivava all’uditorio da Alain Parguez, il relatore francese con il dente particolarmente avvelenato contro le mire criminali della commissione europea. Lo stesso economista riportava una conversazione, a mo’ di emblema, con un responsabile del Ministero delle Finanze francese, appartenente all’ordine dei benedettini nonché capo dell’Opus Dei francese. Costui disse ad Alain Parguez: «sì, l’economia europea è morta, ma non è abbastanza. Professore lei deve capire perché esiste il sistema europeo, che cosa vogliamo? Vogliamo distruggere per sempre la gente, vogliamo creare una nuova tipologia di europeo, una nuova popolazione europea disponibile ad accettare la sofferenza, la povertà, una popolazione disposta ad accettare salari inferiori a quelli cinesi». Gli altri relatori hanno anch’essi proposto spunti interessanti, tralasciati per motivi di spazio, basti qui che due di loro, William Black e Michael Hudson, hanno raccontato alcune malefatte della borsa di Wall Street, con particolare attenzione sui bancarottieri fraudolenti, e l’ultimo dei relatori, Marshall Auerback, ha analizzato la situazione economica europea indirizzando la platea su possibili soluzioni della crisi. Da ognuno di loro si è comunque levato un incitamento alla lotta e alla battaglia di popolo per l’uscita dall’euro, in quanto moneta unica affama-stati e distruggi-democrazia, e al ritorno alla moneta sovrana con la quale convertire, rinominandolo nella nuova valuta, il debito odioso, insolvibile nelle attuali condizioni, e che sta segnando le nostre esistenze. A conferma che si è trattato di un piano criminale mittel-europeo, tale è questa architettura monetaria franco-tedesca avente come fine di farci entrare proditoriamente (a noi cittadini!) nella morsa della moneta unica, ha parlato dalla platea di Rimini Nino Galloni, presenza non in programma. Egli, economista consulente per i governi italiani degli anni ’80, ha raccontato alcuni aneddoti sulle interferenze internazionali nella politica italiana. Questo intervento, reperibile facilmente in rete e relativamente breve. Potete trovarlo cliccando su questo link.
Naturalmente la MMT, che al suo attivo ha un esperimento riuscito: quello dell’ Argentina dopo la crisi del 2001 -Kirchner si è infatti servito di un team di economisti consulenti riferibili all’MMT- è soggetta a critiche da più parti, come ogni teoria economica. Da sinistra le si rimprovera di voler riformare un capitalismo morente senza intaccare il profitto di pochi né di essere in grado di garantire il funzionamento del sistema economico senza un governo totalmente votato al benessere dei lavoratori. Molti dei partecipanti si sono chiesti: “se bisogna essere vigili e attivi sempre e comunque, perché non spingerci oltre e chiedere un socialismo pieno invece di una blanda socialdemocrazia?” Da destra viene liquidata come una teoria improponibile che porterebbe qualsiasi stato a una spesa eccessiva e quindi ad una iperinflazione paragonabile a scenari post bellici. La posizione di Barnard, senza per questo volere impossessarci del suo pensiero più profondo in merito, sembra essere quella di uno che caldeggia la soluzione MMT perché la intravede come praticabile e immediatamente salva-democrazia e salva-stati, nel momento dell’attacco più feroce che subiscono cittadini e lavoratori da parte di potentati economici internazionali di stampo spietatamente regressivo e reazionario.