Lettera al ceto medio italiano
Caro ceto medio,
è da un po’ che penso a te, a volte con rabbia, altre con profonda pena, di tanto in tanto perfino con vergogna. Finalmente ho deciso di scriverti, per comunicarti le sensazioni che mi giungono dal tuo naufragio senza speranza nella storia contemporanea di un paese che non capisci più, che forse non hai mai veramente capito. Tu mai giovane, tu eternamente vecchio, tu solamente presente, mai passato, mai futuro.
Su di te hanno scritto in tanti, forse in troppi, cercando di spiegare di volta in volta quale dovesse essere la tua funzione in un mondo che mutava sempre più rapidamente, provando a proporti come inutile parassita della società, soggetto collettivo incapace di vita propria, cuscino tra gli altrui attriti, bilancia di un mondo squilibrato, ventre ruminante di un corpo che aveva altrove la testa pensante e molto più in basso le solide gambe. Perdonami se la metafora non risulterà particolarmente innovativa, ma ti so assai legato agli insegnamenti che puntiglioso il tuo professore di lettere ti ha tramandato, missione di civiltà e segno dell’avvenuta distinzione sociale, quindi ho voluto farti un tenero omaggio.
Diciamoci la verità fin da subito: ti hanno fregato, caro ceto medio italiano. Sei il figlio meno vivace della famiglia e ti hanno usato per imbrigliare i fratelli e le sorelle più intraprendenti, quegli stessi fratelli e sorelle che per lungo tempo hai guardato con rancore, temendo di essere inadeguato, perfino un po’ sfigato.
Chi – più in alto di te – temeva l’esistenza del conflitto sociale ti ha studiato a lungo e in forme e modi assai differenti ha a poco a poco capito che il ragazzotto un po’ imbranato, panciuto e poco propenso alle relazioni umane era la carta perfetta per drogare un sistema complesso sì, ma in ogni caso dinamico. Del resto che cosa chiedevi per sentirti felice? Una vita statica, un impiego noioso, vissuto con ritmi ripetitivi e svolto in una sede immutabile, un graduale innalzamento dell’accesso ai consumi, via via sempre più spinto fino all’eccesso del parossismo, una famiglia, dei figli, qualche giorno di vacanza al mare, sempre nello stesso mese dell’anno, quasi sempre nello stesso posto perché non ti toccasse d’immaginare una novità.
Sia chiaro che non ce l’ho con te, non pretendo di farti la morale, non avrei speso il mio tempo per scriverti queste parole e tollero poco Kant. Come t’ho già anticipato, da qualche tempo guardo a te con sincera pena, perché ti vedo sculettare tra parole che non sai decifrare e prese di posizione talmente autolesionistiche da farti sembrare autistico. Tutte le tue più classiche declinazioni, dal monotono bigottismo sociale al prudente e subdolo profilo di frodatore delle pubbliche glorie, fino al più prevedibile velleitarismo rivoluzionario, sono ormai state neutralizzate alla base e sei ridotto a sentire la mancanza di quel berlusconismo con cui dal 1994 hanno riformattato il tuo software, indipendentemente dal tuo colore politico (come se fosse una puerile questione cromatica). Anche di questa metafora non vado particolarmente fiero, ma so che negli ultimi anni non disdegni certe passioni per l’informatica, segno evidente del tuo essere all’altezza dei tempi, e per ciò ti ho nuovamente omaggiato, perché non ti sentissi sculacciato con troppa gratuità.
Ora che lo scenario politico italiano si è riequilibrato e ha sgomberato il campo da ogni accenno di immoralità, ora che tutti i santoni mediatici cui ti sei così profondamente legato cantano con una sola voce, ora che le parole d’ordine che da anni porti con fierezza nel pubblico dibattito sono sulla bocca di tutti, proprio ora che dovresti essere felice, attore unico delle sorti dell’Italia, senti che qualcosa non sta andando per il verso giusto. Stranamente l’imparzialità nel governare, le competenze tecniche, l’assenza delle ideologie, l’equità e la meritocrazia, il risparmio, la sobrietà, la responsabilità e la legalità, la sicurezza e l’austerità, questo pacchetto di valori così a lungo desiderato, così ben confezionato, si sta rivelando la copertura ideologica di un mondo orribile e avviato verso lo sfascio più totale, e diciamo pure che ci saresti potuto arrivare da solo.
Certo non temi più il comunismo russo (che belli i tempi dell’esotismo) coi suoi proletari intenzionati a confiscarti la casa e le poche proprietà private che con fatica hai collezionato; né vedi correre attorno a te gli stivali totalitari del fascismo e del nazismo, perché per te solo con gli stivali si vive in un regime di sospensione della democrazia; sono spariti perfino i capelloni e i drogati degli anni Settanta, con la loro pretesa (assai presto abbandonata) di combattere con ogni secondo della propria vita un sistema che neanche intravedi fino in fondo. Ormai c’è la TV e puoi affermare che il libero dibattito si esprime ogni giorno, nei salotti di tutte le reti televisive; i giornali rappresentano con vocazione pluralista un paese ricco di fermenti culturali e i corpi degli uomini e delle donne – soprattutto delle donne – messi quotidianamente a nudo sugli schermi, sui giornali, su ogni coloratissima pubblicità, sono la spia evidente che il periodo dell’oscurantismo cattolico è finalmente finito; con internet si può avere diritto di parola e di informazione, liberi di conoscere e giudicare ogni cosa che più ci va di approfondire, liberi finalmente di essere liberi.
Eppure provo pena, anche perché cominci a sentire che qualcosa non va, te lo dicevo prima. Pena perché gli hai creduto e continui a credergli, pena perché hai lasciato senza colpo ferire che ti rubassero il passato, il futuro e perfino il presente, pena perché non sei in grado di vedere oltre la tua vita fatta di comode scomodità, pena perché tutto questo è avvenuto mentre faticavi e risparmiavi sulle cose che valeva la pena di difendere, lentamente. Cosa farai quando sarai trasformato nella brutta copia di quei fratelli che tanto temevi da bambino – senza neppure averli al fianco perché hai contribuito a metterli in minoranza – ancora non posso dirlo; del resto non faccio il mago e non aspiro a prevedere un bel niente. Però vedo già l’esplosione delle tue contraddizioni, quando ti esalti davanti alla notizia dell’ennesimo controllo della Guardia di Finanza, felice che il fruttivendolo sotto casa debba smantellare il suo banchetto con la merce perché abusivo, felice che il pizzaiolo debba ritirare i quattro tavolinetti sul marciapiede perché privo dell’autorizzazione, felice perché la lavanderia viene multata per gli scontrini non rilasciati, felice perché il parrucchiere dovrà rispettare le norme igieniche, perché il tassista dovrà lavorare in un regime di concorrenza spietato, perché il supermercato dovrà accoglierti a ogni ora del giorno e tutti i giorni della settimana, perché il buco del culo su cui lo Stato sta concentrando le proprie attenzioni non sarà più soltanto il tuo. Sei sempre stato così, il dito non ti ha mai consentito di scorgere la luce della luna e parlarti di legittimità del potere rispetto alle azioni repressive che compie o della necessità che ai sacrifici corrisponda un ritorno collettivo certe volte mi sembra tempo sprecato, ti accontenti dei servizi di Repubblica e delle prediche di Mentana, dello scandalismo di Italia Uno e perfino della retorica imbolsita di Libero e Il Giornale.
Ormai sono arrivati quasi alla resa dei conti, i popoli europei stanno subendo uno degli attacchi più spietati che il capitalismo abbia mai messo in atto in casa propria – perché su ciò che avviene fuori dai nostri confini preferisco tacere in questa sede, non vorrei che la consapevolezza di cosa siano veramente le missioni di pace italiane ti turbasse troppo, né che la conoscenza di chi ti sta raccontando le rivolte del nord Africa ti sconvolgesse fino alla nausea – per cui quattro cose te le voglio dire, giusto per non potermi rinfacciare che ho taciuto. Voglio dirti che quello che sta succedendo non è un avvenimento casuale, che nulla avviene per inerzia e che la crisi con cui stanno giustificando la morte dello stato sociale è stata costruita pezzo dopo pezzo nei decenni scorsi, mentre tu guardavi il Bagaglino e compravi la tua prima telecamera. Dimentica la possibilità che l’attuale premier sia un docente capace e un tecnico preparato perché è solo l’ultimo tassello di una storia che puntava a eliminare il conflitto sociale e, solo successivamente, a distruggere te, caro ceto medio italiano. Perché una volta che i residui di proletariato (ah, le parole che temi) si fossero trasformati, chi più chi meno, anch’essi in ceto medio, a quel punto tu saresti diventato il protagonista del film, e che film! Il thriller in cui stai vivendo prevede che tu, adesso, ti trasformi in una nuova forma di proletariato, ma senza alcuna coscienza di classe, senza strumenti per elaborare la realtà o per opporti alla nuova schiavitù pensata apposta per te, solo e abbandonato tra i prodotti di un consumismo che comincia a invecchiare troppo in fretta, incapace di progettare un mondo veramente alternativo. Insomma, esattamente tu.
Non so come ci si senta a scoprire tutte queste cose di botto, o magari a provare la sensazione che dietro questa sintesi sgangherata si nascondono le tante piccole sensazioni che da tempo celavi alla tua volontà cosciente, però questa è solo la parte più evidente della storia e volevo parlartene, tutto qui. Non sono capace di credere in una riproposizione dell’uguale, non sarebbe storia e nel mondo c’è solo la storia; non mi piacciono le parole d’ordine che dietro un apparente radicalismo nascondono la volontà di confermare la vita dei propri genitori e non mi convincono le metafisiche dell’egualitarismo a ribasso. Nonostante tu sia la vittima di un progetto che mirava alla tua distruzione, mi ritrovo alla fine nell’impossibilità di scegliere quasi tutte le manifestazioni del tuo essere; non posso giocare a fare il disimpegnato perché giorno dopo giorno le mazzate mi arrivano addosso, non posso giocare a fare il militante a tempo pieno perché l’economia pretende la schiavitù e nella schiavitù le cose sono complicate in molti modi, non posso rifugiarmi nei miti di una volta perché un vecchietto m’ha insegnato che le farse sono delle ripetizioni di dubbio gusto, non posso rimboccarmi le maniche perché il consumismo di riflesso m’ha tolto molto tempo.
Dico soltanto che ancora non abbiamo visto tutto, caro ceto medio italiano, per cui spero di avere sbagliato nel ritenerti strutturalmente incapace di essere soggetto collettivo cosciente e atto a fare storia. Prova a sorprendermi. Dal canto mio posso solo partire dalla realtà, da quella realtà che vivo e che i tuoi maestri avrebbero definito bellissima e insieme intollerabile. Le mie convinzioni politiche ce le ho, precarie ma ci sono, te lo garantisco. Devono confrontarsi tutti i giorni col reale, per fortuna, ma non sono l’argomento di questa lettera. Almeno questo non te lo comunico.
G.D.B. – Uno dei tuoi figli meno grati.
Stimolante …
Si attende risposta dal ceto medio.
il ceto medio accetta tutto pazientemente…basta che non gli tolgono le partite di calcio, in quel caso partirebbe la rivoluzione!!!